Nasce in Sicilia la prima filiera regionale del fico d’India

I sindaci dei comuni di Belpasso, Roccapalumba, San Cono e Santa Margherita Belice, poli d’eccellenza della ficodindiacoltura siciliana, hanno sottoscritto, assieme all’assessore regionale all’agricoltura Antonello Cracolici un protocollo d’intesa, per la condivisione, il rafforzamento commercializzale, la trasformazione ed esportazione del prodotto simbolo del made in Sicily: l’opunzia ficus.

Il progetto è stato battezzato “Sinergia – Il fico d’india e i sapori di Sicilia” e ha l’obiettivo di creare una strategia territoriale dei quattro comprensori più vocati in grado di favorire la nascita di una filiera regionale.

Tra gli obiettivi preposti spicca l’attivazione di specifiche campagne di promozione per rafforzare la capacità tecnica, economica e l’export del comparto.

Il ficodindia è stato introdotto in Sicilia dopo la scoperta dell’America. Il suo nome trae origine dal fatto che Colombo, quando sbarcò nel nuovo continente, ritenne di essere sbarcato in India e fu così che la pianta venne chiamata Fico d’India.

In Sicilia la pianta comincia ad essere coltivata razionalmente (in veri e propri impianti) a seguito di interessanti spunti di mercato. E’ da rilevare che finora ha vegetato in forma sparsa ai bordi dei campi (per uso recinzione) o nei dirupi (per la difesa del suolo dall’erosione) o in terreni del tutto marginali.

Esistono diverse varietà che danno frutti variamente colorati: bianchi (muscaredda); gialli (surfarini); aranciati (moscateddi); rossi (sanguigni). I frutti, di forma ovoidale, hanno uno spiccato gusto esotico. Favoriscono la diuresi: per questo sono particolarmente indicati nella terapia delle funzioni renali.

Nel ficodindia, cactacea davvero curiosa, i rami sono formati da cladodi (detti pale) sui quali si formano prima le gemme e poi i frutti. A seconda se la pianta non subisce o subisce la scozzolatura (asportazione dei fiori e dei giovani cladodi alla ripresa vegetativa) si ottiene la produzione dei frutti “agostani” (produzione estiva) o dei “bastardoni” (produzione autunnale).

Questi ultimi, detti anche “scuzzulati”, non sono altro che i fichidindia nati dalla seconda fioritura, dopo l’eliminazione dei piccoli frutti della prima fioritura: tale pratica infatti costringe la pianta a fiorire per la seconda volta.

I “ficupala”, invece, sono una degenerazione dei frutti i quali, anziché fruttificare attaccati col peduncolo alla “pala”, vi nascono dentro: si notano così dei piccoli cladodi col fianco ingrossato. In genere i ficupala vengono raccolti quando sono ancora immaturi e vengono appesi al muro per un certo tempo (dove completano la maturazione) prima di essere consumati (si ha così il vantaggio di mangiarli dopo molto tempo).

La Sicilia rurale dedica numerose manifestazioni al “pane dei poveri”: Roccapalumba quest’anno ha festeggiato la XVI edizione di “Opuntia Ficus indica Fest – Sagra del Ficodindia”,  Militello in Val di Catania la XXV edizione “Sagra della Mostarda e del Ficodindia”, San Cono la “XXXI Edizione Sagra del Ficodindia”, mentre Santa Margherita Belìce ha celebrato la  “XVII edizione della Sagra del Ficodindia.

Insomma, al ficodindia viene dedicato l’intero mese di ottobre accompagnato da sapori, gastronomia, tradizioni, arte, cultura, folklore, eventi, spettacoli, degustazioni, laboratori del gusto, mostre e visite guidate, elementi caratterizzanti i suggestivi luoghi delle opuntie.

Come per le altre produzioni tipiche terrioriali, dissentendo da quanti sostengono che le sagre sono delle semplici mangiate, appare lecito affermare che i prodotti tipici-tradizionali rappresentano la «sintesi» della storia, tanto da poterli considerare degli autentici beni culturali immateriali e pertanto vanno promossi e difesi ad oltranza. Soprattutto perché sono uno strumento di valorizzazione del territorio e ricchezza economica. Lo sanno le migliaia di turisti dal palato sopraffino che scelgono l’Italia per un solo motivo quello: enogastronomico.

Questo frutto, così popolare, riunisce a sé migliaia e migliaia di estimatori, attratti dalle fantasiose preparazioni a cui si sottopone, camuffato in salsa per condire la pasta, sotto forma di gelato, o di dessert con miele e pistacchio, ecc. è riuscito a soddisfare tutti i palati di grandi e piccini.

Nasce così la consapevolezza delle comunità locali di tutelare le proprie tradizioni attraverso la rivisitazione di vecchi momenti aggregativi che avvenivano nelle singole aziende, e che oggi, molto più coinvolgenti, si chiamano sagre e rendono complici le popolazioni locali, che hanno l’obiettivo di valorizzare e vendere i propri prodotti e nel contempo far conoscere il territorio.

Sagre che rivitalizzano le economie locali coinvolgendo gli altri attori produttivi (commercianti, artigiani) e promuovendo la conoscenza del territorio che senza la sagra mancherebbe l’occasione per visitarli.

La Sicilia, grazie all’eterogeneità delle produzioni tipiche, ha un numero elevato di sagre e feste, appuntamenti calendarizzati legati alla stagione e dalle produzioni.

Le degustazioni sono elemento di grande attrazione che spesso accompagnano le manifestazioni d’interesse culturale e folkloristico. Si propongono giochi e balli tradizionali, il tutto per allietare e tenere vivo il territorio e la propria economia.

Da quest’anno finalmente le varie amministrazioni locali d’accordo potranno esibire un unico programma e calendario della sagra della “Ficodindia di Sicilia” e magari pensare ad un riconoscimento futuro comunitario per tutte le opunzie siciliane.