La crisi dell’agricoltura
Il settore agricolo, in tutti i suoi comparti, soffre da tempo di una complessa difficoltà la cui soluzione, per interessi o disinteressi, ma anche per la vastità dei problemi, di volta in volta non vengono affrontati e rinviati da un governo all’altro. L’esiguo prezzo del latte, la mancanza di tutela dei prodotti tipici, il costo del prezzo dei carburanti, (150 milioni di euro nell’ultimo anno), la riduzione di oltre il 6% del calo dei prezzi per alcuni dei principali comparti, come cereali, frutta e vino, e latte, le difficoltà di accesso al credito, ed ancora gli alti costi produttivi e contributivi per le aziende, l’onere dell’Imu sui fabbricati rurali e sui terreni agricoli, l’opprimente burocrazia, gli accordi comunitari con i Paesi Mediterranei, ecc. sono una parte delle problematiche che assillano il settore.
Nonostante ciò, il settore primario dimostra di essere vitale: mantiene i propri occupati e in certi casi crea nuova occupazione e in alcuni segmenti produttivi (agroalimentare, turismo verde, ecc.) contribuisce a recuperare il deficit della bilancia dei pagamenti nazionali.
In particolare, molte aziende sono riuscite a realizzare questo “miracolo economico” grazie alla loro capacità organizzativa che ha fatto della multifunzionalità, della diversificazione, insieme al recupero e valorizzazione delle risorse rurali e culturali, vale a dire di quanto è sedimentato nel territorio, la strategia per potere stare sul mercato.
Ricchezza rurale, considerata patrimonio immateriale nazionale, com’è noto, rappresentata da innumerevoli tesori che vanno dai paesaggi di incomparabile bellezza, ai monumenti ricchi di storia, all’artigianato fatto di cose semplici ma solide e durature, alle ricchezze archeologiche, artistiche e culturali, alle produzioni enogastronomiche, all’ospitalità, i prodotti tipici, le tradizioni popolari, il patrimonio agricolo, ecc., elementi legati a doppio filo con il mondo contadino.
Quindi, per questo motivo, ma anche per altri, la promozione e il sostegno dello sviluppo rurale costituisce un obiettivo prioritario e fondamentale della politica agraria europea, ma anche nazionale e regionale.
Il recupero del mondo rurale e la sua valorizzazione è stata, è, e sarà il motore propulsore per trascinare l’economia italiana, e non solo, dal pantano in cui si è arenata.
Non ci può essere un’Europa economica-monetaria, politica e sociale unita travalicando la saggezza e gli insegnamenti del mondo rurale, quella ruralità che ha determinato la rinascita dell’Europa e dell’Italia dopo il conflitto mondiale.
Quel mondo rurale costituito da culture millenarie, da saperi, riti, tradizioni, storia, gestualità, fede, aspetti etno-antropologici, insomma quel bagaglio multidisciplinare di saperi e di sapori che ha da sempre contraddistinto il mondo agreste.
Sono trascorsi 25anni del famoso Rapporto Delors su «II futuro del mondo rurale» a cui seguì quella scommessa di spessore e consistenza proposta nel 1989 dall’Istituto Nazionale di Sociologia rurale, che in parte, così recitava: «Da una ruralità di esodo a una ruralità d’immigrazione. Da una ruralità d’inerzia a una ruralità d’iniziativa. Da una ruralità contrassegnata da uno spirito di sconfitta a una ruralità improntata a volontà di conquista….». Il punto di partenza fu quel richiamo ad una ruralità d’iniziativa e di conquista; un mondo rurale fiero della propria appartenenza, «ancorché stretto fra l’incudine dell’invadenza urbana e il martello della marginalità».
Le tendenze della Politica Agricola Comunitaria, contenute nella proposta della Commissione dell’Unione Europea conosciuta come “Agenda 2000” e la Programmazione di Sviluppo rurale 2007/2013, hanno stimolato ed indirizzato al ruolo che l’agricoltura può e deve svolgere, una riflessione mirata a ricercare nuove strategie innovative in favore delle aree rurali (il 56% della popolazione dei 27 Stati membri dell’Unione europea (UE) vive in zone rurali e queste ultime rappresentano il 91% del suo territorio).
E’ evidente che la politica a favore dello sviluppo rurale per l’UE diventa obbligata. L’agricoltura e la silvicoltura rimangono le forme prevalenti di utilizzazione del suolo e di gestione delle risorse naturali nelle zone rurali dell’UE, oltre a costituire un’importante piattaforma per la diversificazione delle attività economiche nelle comunità rurali. Il rafforzamento della politica di sviluppo rurale dell’UE è quindi ormai una priorità generale dell’Unione europea.
Il fallimento delle politiche di programmazione e di sviluppo, “calate dall’alto” hanno fatto prendere coscienza ad amministratori ed operatori economici che la strada da intraprendere deve basarsi sulle capacità di progettare e di attuare uno sviluppo endogeno; infatti, tale modello di sviluppo inizia ad essere valutato come un reale patrimonio da valorizzare da parte degli operatori pubblici e privati, che intendono promuovere una nuova cultura di sviluppo, finalizzata al miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali.
Protagonisti di questa consapevolezza sono stati gran parte dei Gruppi di Azione Locale dei progetti Leader europei, i quali, grazie ad una superba fantasia e creatività hanno saputo dare quella dignità e rivalutazione delle aree rurali indirizzando le popolazioni a concetti come: multifunzionalità, diversificazione, rete, sviluppo dal basso, sussidiarietà, ecc. e tanti altri concetti che sono entrati prepotentemente nelle filosofie delle politiche comunitarie.
Tradizione e innovazione sono andati di pari passo, sulla consapevolezza che ogni territorio è un unicum irripetibile utile per costruire un futuro degno dell’uomo del terzo millennio.
Le popolazioni rurali hanno preso coscienza dei valori impressi nei tenitori dove vivono.
Si è superato inoltre il concetto che la campagna è sempre stata sinonimo di arretratezza, sottosviluppo, palla di piombo al piede della modernizzazione.
Parallelamente a questa crescita culturale, rivoluzionaria per le campagne, si assiste quotidianamente ad una lotta continua tra chi spinge verso una valorizzazione piena delle aree rurali attraverso politiche, creatività, entusiasmo, ecc. e chi viceversa, fa di tutto per cancellare questi segni di rivitalizzazione del mondo rurale.
In tempi di spending review si vuole far pagare anche al mondo rurale i costi per sostenere “la casta”, formata non solo da politici, ma anche dal mondo della finanza, banchieri, manager, ecc. garanti di una rete di interessi invisibili che li rende immortali nella “prima, seconda e terza Repubblica”.
All’insegna della spending review si vuole cancellare quanto fin qui è stato conquistato, mortificando e scoraggiando le popolazioni locali, attraverso l’eliminazione di uffici, ospedali, servizi, scuole, ecc.
Bisogna a tutti i costi combattere questa “tecnocrazia contabile” che nel marasma della globalizzazione ha perso i principi e valori della solidarietà della fratellanza, unica arma per placare gli animi della polveriera sociale che in tempi brevi, continuando così, metterà a ferro e fuoco l’intera Europa.