Agroindustria, le industrie di trasformazione dicono “no” all’aumento della quota di succo di arance nelle bibite

aranceL’aumento dal 12% al 20% della quota minima di succo di arancia nelle bibite “aranciate” prodotte in Italia rischia di causare un danno irreversibile all’industria del settore considerato che all’estero, anche nei paesi intra Ue, la quota minima è del 10 per cento. Ed è per questo motivo che il presidente del Consorzio italiano industrie di trasformazione agrumi (Citrag) con sede a Giammoro (Pace del Mela, Messina) ha preso carta e penna e ha scritto una lunga lettera ai rappresentanti istituzionali: dal presidente del Consiglio Matteo Renzi al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, dall’assessore regionale siciliano alle Risorse agricole Nino caleca all’assessore regionale alle Attività produttive Linda Vancheri. La tesi è semplice: grazie a queste norme in Italia vi sarebbe un aumento dei costi che aiuterebbe le imprese straniere e spingerebbe le multinazionali che hanno sede in Italia a ridimensionare la loro presenza. I trasformatori contestano in particolare l’articolo 17, comma 1 della legge 161/2014 (Europea 2013 bis) che impone proprio questo aumento. «Siamo molto preoccupati per l’entrata in vigore di questa norma» dice Cacace.

Secondo gli industriali, concentrati in Sicilia e Calabria, la norma invece di agevolare il settore dell’agrumicoltura sarebbe un vero e proprio “boomerang” che metterebbe in crisi tutto il settore: dalla produzione alla trasformazione e alla commercializzazione.

Come si legge nella lettera, le cosiddette ‘aranciate’ prodotte e consumate oggi in Italia devono contenere per legge il 12% minimo di succo di arancia, mentre nel resto dell’Unione europea vengono prodotte e vendute liberamente con il 3-6% e fino ad un massimo del 10%, secondo la legislazione del singolo Stato. Questo già comporta un maggiore costo per le industrie di bibite in Italia rispetto a tutti gli altri produttori di bibite dell’Europa. La nuova legge che impone soltanto ai produttori di bibite in Italia il 20% minimo di succo di arancia nella “aranciata” sarebbe un’ulteriore penalizzazione gravissima. L’applicazione di questa nuova normativa non solo farebbe aumentare notevolmente i costi dei produttori italiani, ma lascerebbe aperte le frontiere alle bibite prodotte in altri paesi limitrofi, contenenti quantitativi di succo inferiori. Le industrie italiane di bibite a questo punto sarebbero integralmente sostituite sul mercato italiano da operatori stranieri con l’alternativa di chiudere i loro stabilimenti o trasferire le loro produzioni all’estero, con la perdita di molti posti di lavoro.

Ma c’è anche un altro problema, ovvero la quantità di arance necessarie per convertire l’attuale consumo di “aranciate” dal 12% attuale al 20%. Un quantitativo che in Italia non è disponibile. Il 98% delle ‘aranciate’ italiane viene prodotto con succo di arance proveniente esclusivamente da arance a polpa ‘bionda’. Le arance a polpa ‘rossa’ (varietà ‘Tarocco’, ‘Moro’, ‘Sanguigno’ e ‘Sanguinello’), non possono essere utilizzate per la produzione di succo per bibite “aranciate”, ma soltanto per succhi 100% bevibili. Le varietà di arance a polpa ‘bionda’ che si coltivano in Italia sono ‘Navel’, ‘Navelino’, ‘Biondo Comune’ e pochissime quantità di ‘Valencia’ e ‘Ovale Calabrese’. Di queste vengono destinate alla trasformazione industriale solamente quelle non idonee (per dimensione, forma e colore) a essere avviate al mercato del fresco. Per l’attuale produzione di circa 500 milioni di litri di “aranciata” venduta in Italia con il 12% di succo di arancia occorrono circa 60 milioni di litri di succo ovvero 150 milioni di kg di arance bionde. Se le bevande prodotte in Italia dovessero contenere il 20% di succo di arancia, occorrerebbero circa 100 milioni di litri di succo equivalenti a 250 milioni di kg di arance bionde. Quantità che in Italia non esiste e pertanto le industrie di bibite sarebbero costrette a comprare il succo di arancia all’estero (Spagna, Marocco, Turchia, Israele, Grecia, Brasile).

Inoltre, secondo il Citrag l’auspicato aumento di prezzo per le arance destinate alle industrie di trasformazione italiane non è né ipotizzabile né assolutamente realizzabile. Gli agrumicoltori di questi stessi dei paesi esteri realizzano un prezzo che va da un minimo di 0,07 euro al kg a un massimo di 0,10 euro al kg per tutte le arance bionde che conferiscono alle proprie industrie di trasformazione. Gli agrumicoltori italiani, allo stato attuale, realizzano invece un prezzo di 0,10-0,12 euro al kg e quindi già il succo prodotto in Italia non è competitivo con quello del mercato internazionale. “Questo – spiega il Citrag – è un ulteriore e fortemente penalizzante motivo per cui, qualora il prezzo del succo di arancia bionda prodotto in Italia dovesse aumentare ulteriormente, le industrie di bibite si approvvigionerebbero all’estero in mercati più economici e abbondanti. Tutte le nostre industrie di trasformazione entrerebbero sicuramente in grave crisi e di conseguenza anche i produttori di arance i quali, non potendo conferire alle industrie il loro prodotto non idoneo per il mercato del fresco, dovrebbero sostenere addirittura un costo aggiuntivo per smaltire queste eccedenze”.

Infine, il Citrag mette in evidenza che la sola industria di trasformazione non può assicurare la sopravvivenza del produttore agricolo. “L’industria – afferma il presidente Cacace – deve essere considerata soltanto quell’importante anello della filiera che, grazie alle sue avanzate tecnologie, oggi è in grado di ricevere e trasformare in succo ed olio essenziale tutto il prodotto non idoneo al mercato del fresco, assicurando al produttore un’ulteriore valorizzazione per questa tipologia di merce, anche se a prezzi inferiori. Per poter garantire un sufficiente reddito all’agrumicoltore è necessario che questi, anche con eventuali aiuti europei, possa migliorare la coltivazione, il raccolto, la selezione qualitativa, l’organizzazione commerciale e la distribuzione diretta su tutti i mercati del prodotto fresco”.