I gioielli enogastronomici di Sortino
La cittadina di Sortino, a nord-ovest da Siracusa da cui dista 30 chilometri, è posizionata nell’alta valle dell’Anapo. Un immenso kenion solcato dall’omonimo fiume i cui costoni, a precipizio sul corso d’acqua, custodiscono la necropoli di Pantalica, considerata come la più grande d’Europa, bene mondiale dell’UNESCO, famosa per le testimonianze storiche e culturali; si compone di circa cinquemila grotticelle risalenti al Paleolitico e al Neolitico.
La Valle dell’Anapo, oasi di rara bellezza, è ombreggiata da querce, lecci, pioppi, platani, salici e un esuberante profumato sottobosco, inoltre è presente una grande varietà di fiori, in particolare le famosissime orchidee ricercatissime dai botanici tedeschi che ogni anno, in primavera, arrivano in quantità per fotografare queste meraviglie della natura. Questo esuberante patrimonio naturale è animato soltanto dallo scorrere delle acque del fiume Anapo, dai suoi affluenti e della ricca fauna.
Sortino, circondata da profonde valli, è posta sui monti Iblei orientali adagiata su di una collina a 438 metri s.l.m. Il nome deriva probabilmente dai suoi antichi abitanti: gli sciuttini, coloro che sono sdutti (usciti), sia in epoca bizantina che araba, dal vicino sito di Pantalica. Le prime notizie storiche che si hanno su Sortino risalgono al 1277 quando viene indicato come casale. Feudo dei Moncada e degli Eredia, nel 1477 passò alla famiglia dei Gaetani di origine pisana, che la tenne per tre secoli. Gravemente colpita dal terremoto del 1542, fu rasa al suolo da quello del 1693; ricostruita poco distante, nel sito attuale, alla sommità della collina detta cugno del Rizzo. Sortino, oltre a distinguersi per le bellezze storiche e naturalistiche custodisce una monumentalità religiosa davvero singolare che si contraddistingue per lo smisurato barocco.
La Chiesa Madre, dedicata a San Giovanni Evangelista, venne ricostruita nel 1734, dopo la distruzione del terremoto; la facciata è imponente, in stile barocco, in cui spiccano tre nicchie con le statue di San Giovanni, Mosè ed Elia e un portone centrale affiancato da due coppie di colonne tortili. Si erge su un magnifico piazzale lastricato con i ciottoli bianchi e neri del fiume Anapo. Al suo interno si conservano degli affreschi, nella volta e nel catino dell’ abside, ed inoltre, due tele di Giuseppe Crestadoro: San Giovanni Evangelista e la Vergine e San Gaetano e due attribuite a Vito d’Anna: la Deposizione e San Michele.
Nella Chiesa di Sant’Antonio Abate, detta pure del Collegio (1742), sono conservati affreschi di Giuseppe Cristadoro (1778). Altri affreschi dello stesso pittore impreziosiscono la Chiesa dell’Annunziata e quella di San Sebastiano. La Chiesa del Monastero di Montevergine (seconda metà del Settecento), vero gioiello dell’architettura barocca, adiacente al Monastero di Montevergine, ha una facciata armoniosa, nel suo interno si ammira il pavimento maiolicato a piastrelle di Valenza raffigurante la “Pesca miracolosa” e opere del pittore catanese Sebastiano Lo Monaco.
Il Convento dei Padri Cappuccini, risalente al 1556, già sede della Scuola di teologi, è stato per anni luogo di studio e di formazione per i giovani frati siciliani. La chiesetta è di semplice costruzione. Pregevole al suo interno è l’altare maggiore in legno con intarsi in madreperla, avorio e osso, realizzato alla fine del ‘700 da frate Angelo da Mazzarino. L’ex Convento San Francesco ospita il Museo dei Pupi siciliani.
Sortino custodisce inoltre un patrimonio enogastronomico non indifferente. Della cucina sortinese fa parte il pizzolo o pizzòlu , un gioiello gastronomico facente parte dell’altra “grazia di Dio”: i prodotti da forno. Il nome deriva, come indica il Traina, da pizzòlu una grossa pietra piatta di forma ovoidale, forse la base veniva cotto questa specie di focaccia. Originariamente veniva anche chiamato ‘nipitedda’, (Calamintha nepeta L. Savi – Lamiaceae), mentuccia comune, un’erba perenne, ramificata, alta da 15 a 30 cm, con fusto debole.
Comunque sia, il pizzolu è un piatto della tradizione contadina di Sortino che, ancor prima dell’avvento del benessere, era farcita con verdure, dipendenti esclusivamente dalla stagionalità, arricchito con olio e aromi, e qualche volta integrato di qualche sapere e fantasia delle donne locali.
L’origine del piatto va ricercato nella forma di pane rotondo schiacciato, di circa 20 cm di diametro, che ricorda l’inizio e la fine della vita, riscaldate su pietre arroventate, condite con olio, timo, origano e sale, uniformemente bucherellato per evitare la formazione di grumi che altererebbero e soprattutto facilitano la cottura. A metà cottura è sfornato tagliato a metà e condito, nella cultura contadina. con olio, origano, pepe, caciocavallo e sale, con il sopraggiunto benessere farcito con vari ingredienti, salumi, formaggi, carne.
Si arriva all’assurdo facendolo diventare anche un dolce, quando è ripiempito di crema al pistacchio, crema cioccolato, ricotta e miele. Per il resto: gusto, profumo e sapore ci pensa il forno in pietra. Si tratta comunque di una ricetta tipicamente contadina che si è trasferita nella coltura borghese, trovando nuovi estimatori e cultori.
Altra monumentalità sortinese è il miele, tanto decantato da Virgilio, Ovidio, Teocrito e citato anche da William Shakespeare, sia nell’ Enrico IV, sia nel Giulio Cesare, ed ecco che si rafforza il dubbio che William Shakespeare fosse siciliano. Dei mieli sortinesi si contraddistinguono quelli di timo, di eucalipto, di zagara oltre che all’onnipresente millefiori, consacrato annualmente con una sagra; inoltre dell’arte mellifera si è reso famoso un prodotto di cui pochi individui conservano i segreti, un rarissimo liquore di miele chiamato “spiritu re fascitrari” (liquore dei melai) prodotto per distillazione dell’acqua di risulta derivata dallo scioglimento della cera (che contiene molti residui zuccherini e di miele), successivamente fatta fermentare e distillata, se ne può utilizzare il prodotto anche “bianco”, ma la tradizione lo fa preferire “cunzatu” (condito) con miele cotto a fuoco lentissimo per varie ore. Per scoprire la cultura mellifica iblea è d’obbligo visitare la casa museo dell’apicoltura tradizionale: ‘a Casa do’ Fascitraru, un luogo magico che racchiude secoli di tradizione e saperi abilmente trasferito fino ai giorni nostri.
Altra prelibatezza di Sortino sono i piretti, termine dialettale che significa piccole perette; si tratta di biscotti che prendono il nome dalla loro forma, infatti somigliano a delle pere, comunque, a base di miele, farina con una mandorla nel suo interno. Questo particolare biscotto ha una croccantezza abbastanza forte, pertanto è consigliabile sgranocchiarlo a poco a poco o farlo sciogliere in bocca o inzuppato nel latte ed è per questo che sono anche intesi come “biscotti spezzapasto”. Dopo avere assaporato il sapore del miele, troverete la sorpresa della una mandorla intera, anche questa è una tipicità di eccellenza delle terre siracusane.
I sanfurricchi sono delle caramelle di miele cotto, lavorato in modo da inglobare aria, successivamente indurito è tagliato in piccoli pezzi. Per preparare questo singolarissimo dolce occorre esperienza, tecnica e forza ecco perché è difficile realizzarlo, pertanto è consigliabile rivolgersi esclusivamente agli esperti sortinesi.
Inoltre troviamo le sfingi, dall’arabo sfang, “spugna “, si tratta di piccole masse di pasta lievitata, poi fritte e condite con miele crudo, per i più gastaronomicamente più intransigenti con mandorle tostate.
Naturalmente, a due passi da Siracusa, un altro piatto tipico della tradizione è la cuccia, costituita da grano bollito condito con l’onnipresente miele.
Parlando di miele non può mancare la suadente pignulata, pignoccata o mpagnuccata costituita da piccole palline di pasta dolce, a forma di pigna, ricoperte di miele e cannella. Questo dolce così come gli altri sono inseriti nell’Albo nazionale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf).
La pignoccata classica viene ricoperta, inoltre, da minuscoli zuccherini di colori differenti conosciuti come “diavulicchi”. Nonostante questo dolce viene annoverato nelle feste di Carnevale ha origine sacre.
La conoscenza di queste specialità può avvenire anche nelle varie calendarizzate manifestazioni folkloristiche o religiose, come la suggestiva processione de “U nummu ru Gesu”, in occasione del Venerdì Santo o la festa di S. Sofia, patrona del centro ibleo.
Sortino vive l’arte dei pupi Siciliani, legata nel centro ibleo alla memoria della tradizione teatrale del puparo don Ignazio Puglisi. In piazza S. Francesco è stato allestito il Museo dell’Opera dei Pupi. Ogni anno a maggio si organizza il Festival delle Marionette con la partecipazione delle più importanti compagnie. Sortino vanta antiche tradizioni nell’attività apicola e nella produzione di mieli. La Sagra del Miele è la più importante manifestazione per la valorizzazione delle maggiori risorse e prodotti del territorio, la più antica in provincia. Decine di apicoltori, “fasciddari”, con un’arte e dei gesti antichi offrono ai visitatori le prelibatezze a base di miele che, ogni anno, nel primo week-end di ottobre, affollano le strade del paese in occasione della sagra.
Le ricette:
Ricetta: Sanfuricchi
Ingredienti: 1 kg di miele olio di oliva.
Preparazione
Appendere una tavoletta di legno (cm 10 x 50) a un solido sostegno, dopo avere applicato due strisce di zinco in senso verticale. In alto piantare un lungo chiodo, sia la parte di zinco che il chiodo dovranno esse unti di olio. Versare il miele in un recipiente possibilmente di rame e farlo bollire mescolando fino a 80% gradi circa, sempre nello stesso senso, con un mestolo di canna (o di legno). Quando il miele comincerà a fare i fili toglierlo immediatamente dal fuoco e rovesciarlo sul ripiano di marmo già unto di olio, impastarlo velocemente con una paletta e quando sarà abbastanza freddo lavorarlo con le mani unte d’olio. Appena risulterà un po’ consistente, allungarlo formando una lunga striscia; quindi si appende al chiodo come uno straccio e si tira con tutte due le mani, sino al limite di trazione, formando così due strisce, quindi congiungere i due lati della striscia, toglierla dal chiodo, tirarla con le mani e appenderla un’altra volta al chiodo continuando con lo stesso procedimento di prima sino a quando la ciaurrina (la massa) diventerà bianca; di tanto in tanto, ungere le mani con olio. Formare poi con il composto dei cerchi e delle sagome attorcigliate.
Piretti
Ingredienti: 600g di miele, 600g di farina 00, 40 mandorle circa, un pizzico di cannella, scorza grattugiata di mandarini biologici.
Preparazione:
Preriscaldate il forno a 180°. Mettete in una ciotola il miele ed aggiungete la farina.
Mescolate tutti gli ingredienti con un cucchiaio, poi con le mani fino ad ottenere un composto omogeneo. Prendete un pezzo di impasto e al suo interno inserite una mandorla. Appallottolate l’impasto e poi allungatene una parte creando una sorta di goccia con la punta arrotondata disponete in una teglia coperta di carta forno ed infornate per circa 15 minuti (vi accorgerete che sono pronti quando il colore sarà dorato). Cotti Lasciate raffreddare prima di mangiarli.
Pignoccata
Ingredienti: 1 Kg di Farina 00; 10 uova; 1/2 bicchiere di olio extravergine d’oliva; miele e cannella in polvere.
Procedimento: Disporre la farina a monticello con nel mezzo una fontanella in cui mettere i tuorli delle uova e l’olio. Impastare il tutto e lasciare riposare. Successivamente, allungare la pasta ottenuta come a formare una cordicella da tagliare in tanti pezzettini.
Per la cottura, disporre di due padelle piene di olio. Nella prima friggere i pezzetti di pignolata; quando sono cotti, prenderli con la schiumarola e metterli in un colapasta per liberarli dall’eccesso d’olio. Poi, per far raffreddare l’olio della prima padella, cuocere la pignolata nella seconda padella, e viceversa, fino alla cottura di tutto il preparato. Infine, si condisce con il miele sciolto a caldo, lo zucchero e la cannella in polvere. Quando sarà quasi fredda, si modella con le mani fino a formare una piramide o una pigna, donde deriva il nome di pignulata.
Pizzolo
Ingredienti: 150 g di farina per pizza, 50 g di farina integrale, 110 ml di acqua tiepida, i cucchiaino di zucchero, 1/3 di bustina di lievito disidratato, salame a fette, funghi tipo champignon, formaggio a pasta filante, formaggio ragusano grattugiato, timo q.b., olio extravergine d’oliva.
Preparazione: Disponete le farine sulla spianatoia creando una sorta di bacinella. Separatamente sciogliete il lievito disidratato con un poco d’acqua e un cucchiaino di zucchero. Quando il lievito si sarà sciolto mescolatelo alla farina cercando di farlo uniformare alla massa. Aggiungete un po’ d’acqua alla volta e impastate, è consigliabile ungervi le mani d’olio in modo che non si attacchino alla pasta. Qundi lasciate lievitare la pasta per almeno 3-4 ore, in un luogo a temperatura ambiente, coprendola con del film di plastica trasparente. Prendete una teglia da pizza rotonda con un diametro di circa 20 cm e ungetela leggermente con olio. Stendete il vostro impasto omogeneamente, in modo che sia alto più o meno un centimetro e infornatelo a 200° per almeno 15-20 minuti. Quando il pizzolo sarà cresciuto un po’ e si sarà un po’ colorato, uscitelo dal forno e fatelo raffreddare per 5-10 minuti. Con un coltello tagliate il pizzolo in due facendo molta attenzione a non romperlo. All’interno mettete il formaggio tagliato a fette sulla base, il salame e i funghi e ancora qualche fetta di formaggio per legare i due dischi di pasta. Chiudete il pizzolo e bagnate la parte superiore con ancora poco olio, mettendo stavolta anche il formaggio ragusano grattugiato e il timo. Rimettete ancora in forno, a 220° per circa 10 minuti. Quando il formaggio sulla superficie sarà ben croccante e il formaggio dentro inizierà a filare il pizzolo è pronto. Esistono anche delle variante a base di verdure semplici o con verdura e salsiccie, tutto dipende dalla stagione di preparazione.