Agricoltori sempre più poveri: per pagare un caffè al bar “servono” 5 chili di arance

L’agricoltura crea valore, ma non “paga” chi la fa. Sembra un paradosso eppure è la realtà italiana. Mentre il comparto fattura oltre 57 miliardi di euro sui campi, i redditi degli agricoltori calano dell’8% annuo (contro la media Ue del 2%); mentre l’export del Made in Italy agroalimentare macina un record dopo l’altro superando la soglia di 38 miliardi sui mercati stranieri, i prezzi pagati ai produttori nel Paese diminuiscono di un altro 5% nell’ultimo anno; mentre il settore primario crea occupazione con quasi 1,2 milioni di unità attive, l’imprenditore agricolo perde un giorno di lavoro su quattro per assolvere pratiche e adempimenti burocratici. Sono tutti esempi di una distorsione che va corretta, con interventi urgenti che finalmente restituiscano centralità all’agricoltura, rafforzando il suo ruolo lungo la catena del valore.

Lo chiede la Cia-Agricoltori Italiani durante la sua VIII Conferenza economica spiegando che un’equa redistribuzione dei rapporti nella filiera, tra le fasi a monte e quelle a valle, oggi non è più rinviabile. Così come la semplificazione burocratica e una migliore organizzazione commerciale del prodotto.

Per pagare un caffè al bar, l’agricoltore tipo dovrebbe mettere sul bancone oltre 2 chili di riso o almeno 11 uova. L’allevatore dovrebbe consegnare più o meno 3 litri di latte e chi fa agrumi oltre 5 chili di arance -ricorda la Cia-. Ma anche per comprare un biglietto del cinema, un produttore dovrebbe vendere quasi 18 chili di patate, che oggi “valgono” circa 45 centesimi al chilo, mentre al consumatore vengono proposte a 1,50 euro con un ricarico del 233%. Tutto questo mentre ogni azienda agricola è costretta a fornire oltre 2 chili di materiale cartaceo per una sola pratica Psr e, prima di poter commercializzare un litro di latte, deve superare 7 step normativi e mettere in conto uscite per la gestione aziendale di 20 mila euro l’anno.

Non è un incubo né uno scherzo: questa è la situazione vera dell’agricoltura italiana, che da troppi anni combatte con il crollo dei prezzi sui campi e con la forbice esorbitante nella filiera agroalimentare tra i listini all’origine e quelli al consumo, dove in media per ogni euro speso dal consumatore, solo tra i 15 e i 18 centesimi arrivano nelle tasche del contadino. Per questo la Cia coglie l’occasione della Conferenza economica per rilanciare il progetto del “Network dei Valori”, su cui sta lavorando per raccogliere adesioni e contributi dalla presentazione ufficiale all’Assemblea nazionale di novembre.

La proposta della Cia è semplice e chiara: bisogna creare accordi sinergici ben codificati tra l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, la logistica, gli enti locali per costruire un percorso virtuoso intorno alle produzioni agroalimentari. Una sorta di patto per dare vita a “Reti d’impresa territoriali” capaci di mettere in trasparenza l’intero processo di filiera che porta i prodotti agricoli e alimentari locali dal campo al consumatore. Con un codice di tracciabilità “ad hoc”, da apporre sul packaging dei cibi, a certificazione e garanzia del processo avvenuto all’interno di un accordo di “Network”.

Il progetto è ambizioso, ha spiegato la vicepresidente vicaria della Cia Cinzia Pagni durante il panel “Verso una nuova filiera agroalimentare” con il viceministro delle Politiche agricole Andrea Olivero e i vertici di Confcommercio, Federalimentare, Coop Italia, Alleanza delle cooperative italiane, “ma è una strada che bisogna percorrere -ha aggiunto- perché porterebbe benefici a tutti i comparti coinvolti: non solo quello produttivo, ma anche quello della logistica e del commercio fino ad arrivare ai consumatori”.

Da una prima proiezione della fattibilità del progetto, con i “Network dei Valori” secondo la Cia si potrebbero risparmiare circa 18 miliardi di euro. “Più di 800 mila aziende agroalimentari italiane -ha concluso la vicepresidente della Cia- chiedono sostanzialmente questo: un netto abbattimento del peso burocratico e una più corretta distribuzione del valore, facendo leva su un sistema maggiormente fiduciario tra imprenditori e istituzioni e su reti semplici, snelle e dirette tra i vari componenti di ogni filiera”.