Pasta, i siciliani ne mangiano 40 chili a testa in un anno: tutto quello che c’è da sapere su questo alimento

Con un consumo medio di circa 24 kg a testa gli italiani si confermano al primo posto come mangiatori di pasta seguono i tunisini con 16 kg a testa, mentre nel Venezuela se ne consumano 12 kg, in Grecia 11,2 kg e in Svizzera 9,2 kg (Fonte: International Pasta Organisation 2016).

Dei 14,3 milioni di tonnellate di pasta prodotte nel 2015 l’Italia risulta il primo produttore con circa 3,2 milioni, a seguire gli Usa 2 milioni, la Turchia 1,3 milioni, il Brasile 1,2 milioni e la Russia 1,1 milioni.

In Italia esistono attualmente 139 pastifici: 58 in Italia settentrionale, 30 in Italia centrale, 40 nella parte meridionale del Paese e 11 tra Sicilia e Sardegna.

In Sicilia, primato mondiale, il consumo di pasta annuale pro capite è di 40 kg quasi il doppio del resto d’Italia. In Trentino Alto Adige il consumo di pasta pro capite è di circa 20kg.

Il consumo nazionale totale di pasta si suddivide in: 91% pasta secca e 9% pasta fresca, cioè, 1,4 milioni di tonnellate di pasta secca contro 144mila tonnellate di pasta fresca (Dati 2012 raccolti da Unipi, Unione industriale pastai italiani).

 

Il “Made in Italy” della pasta

Per produrre la variegata foggia di pasta e mantenere la produzione del “made in Italy” l’industria della pasta ha bisogno d’importare quantità spropositate di grano di produzione estera. La produzione italiana di grano duro – quello che si usa per produrre la pasta – è pari a circa 4 milioni di tonnellate, cioè la metà del fabbisogno; il resto del grano duro è di importazione.

Un dato rilevante, tra l’altro un po’ datato, riguarda le importazioni di grano del mese di luglio 2006 e il giugno 2007, in questo periodo il nostro Paese ha importato oltre 2 milioni di tonnellate di grano, il 40% di quello utilizzato dalle aziende associate all’Unione industriale dei pastai italiani (www.unipi-pasta.it): 701 mila tonnellate sono arrivate dai Paesi Ue; oltre 1,3 milioni di tonnellate, invece, dai Paesi extra Ue: il 44,4% del grano lavorato in Italia attraverso l’Atlantico viaggiando da Canada e Stati Uniti d’America.

Altri dati più recenti confermano le importazioni. Paesi Europei da dove si è importato grano duro, anno 2015: Francia, 342.742; Spagna, 172.338; Grecia, 146.055; Austria, 7.560; Germania, 10.718; Totale Ue 25: 701.681; Paesi extra Europei: Canada, 622.367; Stati Uniti, 272.364; Australia, 98.421; Siria, 98.316; Turchia, 57.359; Totale Paesi Terzi         1.311.452. Totale complessivo importato 2.013.133.

L’importazione di grano duro relativo all’anno 2016 ha visto l’importazione dalla Francia, 953; Ucrania, 577; Austria, 605; Germania, 378; Ungheria, 622; Stati Uniti, 282; altri paesi, 1352; Totale importato 4.776 milioni di tonnellate.

Riguardo il grano tenero per il 2015 l’Italia ha importato: Canada, 2.175; Francia, 142; Stati Uniti, 482; Grecia, 151; Kazakistan, 62; altri paesi, 443; Totale: 2.372 milioni di tonnellate.

L’esportazione italiana dei derivati del frumento per anno 2015 ha interessato: Germania, 337; Francia, 209; Regno Unito, 211; Stati Uniti, 138; Giappone, 56; Altri paesi, 670; Totale 1.633 (000 T). (Elaborazioni ISMEA su dati Istat).

I dati evidenziano che l’industria molitoria nazionale è dipendente dalle importazioni per il 35% del fabbisogno, come indica il Ministero delle politiche agricole nel “Piano di settore cerealicolo” 2008-2009. La produzione italiana di grano duro destinata al settore della pasta si aggira intorno a 3-4 milioni di tonnellate anno, a fronte di un fabbisogno di 5,7 milioni di tonnellate. La quantità importata da paesi extraeuropei, varia a seconda delle annate, come indicano i dati dell’Associazione Industriali e Mugnai d’Italia che mostrano una variazione da 1 a 2 milioni di tonnellate. Gran parte del cereale, come riportano i dati di Italmopa, proviene dal Canada che rappresenta anche il primo fornitore di frumento duro per l’industria alimentare italiana. Nel 2013 sono state importate più di 450 mila tonnellate, raddoppiate nel 2016. Secondo i dati del Ministero delle politiche agricole il 45,6% della produzione nazionale di pasta è destinato all’esportazione.

 

Importazione del Canada sotto accusa

Da qualche anno l’importazione di grano duro proveniente dal Canada e impiegato nell’industria molitoria italiana è finito sotto accusa per l’elevato valore di contaminanti tossici dannosi alla salute umana. Le sostanze nocive contestate riguardano il glifosato e le micotossine.

 

Il glifosato Per i pastai per produrre “pasta di qualità”, cioè quella che non scuoce, ambita da chef stellati e da cuochi improvvisati, ognuno per le proprie ragioni, bisogna miscelare le farine del grano duro italiano con una quantità importante di grani “di forza”, cioè quei frumenti che hanno uno spiccato contenuto di proteine che servono a conferire tenacia e consistenza alla pasta. La pratica di aggiungere alla pasta, ancor prima di scolarla, acqua fredda per bloccare la cottura è caduta in disuso, poiché i “grani di forza”, consentono di far di mantenerne la cottura per più tempo.

Nonostante questa caratterizzazione, molti pastifici italiani e siciliani, dissentono sul fatto che per fare una buona pasta occorrono “grani di forza” cioè con un contenuto di proteico elevato, e a dimostrazione di ciò producono della ottima pasta di alta qualità con solo grano con una percentuale proteica nazionale 12% circa).

La mancanza di “forza”, del grano duro meridionale, cioè povero di proteine, è dovuto al raccolto del cereale che avviene a piena maturazione, naturale, cioè quando le piante si sono seccate per la fine del loro ciclo vitale, la qualcosa provoca l’impoverimento proteico del chicco che aveva nel momento più vitale, cioè quando la pianta del frumento è ancora verde e in piena vegetazione.

Viceversa, in altri paesi, compreso il Canada, soprattutto in aree dove il clima non consente la stagionatura naturale della pianta, la maturazione la si fa completare mediante il ricorso a un diserbante il glifosato.

Il frumento nel pieno vigore della crescita muore di colpo e secca prima del tempo; viene quindi lasciato seccare, per dare anche il tempo al glifosato di scomporsi e dissolversi, e poi il frumento si miete così disseccato artificialmente. Pare che questa tecnica di essiccazione venga utilizzato, in altri Stati e per altre coltivazioni in modo da avere semi quanto più ricchi possibile di princìpi vitali, per esempio si usa lo stesso procedimento con il luppolo che rende amara la birra tedesca (la quale spesso ha tracce del composto diserbante). (Piero Luigi Pianu, Amedeo Reyneri, docente di agraria a Torino).

Il glifosato (glifosate, glyphosate) è un composto sviluppato una prima volta in modo casuale in svizzera dalla Cilag, e poi riscoperto e sfruttato negli anni ’70 dalla Monsanto con il nome commerciale roundup, il brevetto esclusivo della Monsanto è scaduto da anni e oggi viene prodotto da molte aziende concorrenti nel mondo, ma la Monsanto ne è ancora il primo produttore al mondo.

Secondo uno studio del Massachusetts Institute of Technology (Mit), diffuso da il glifosato presente nella pasta e nel pane può provocare malattie gravi: diabete, obesità, asma, morbo di Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (Sla), e il morbo di Parkinson.

I risultati delle ricerche sono contradditori (Vedi il Nostro articolo del 31 luglio 2017: Glifosato, una guerra senza fine, la Commissione Ue propone di rinnovare l’autorizzazione per 10 anni). La Commissione europea, ricevuto il parere positivo deliberato in marzo 2017 dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), secondo la quale il glifosato non è cancerogeno, né mutageno, né tossico per la riproduzione e neppure genotossico, ha comunicato agli Stati membri dell’Ue la proposta di rinnovare l’autorizzazione dell’erbicida glifosato per altri dieci anni, fino alla data del 15 dicembre 2027. Il commissario alla Salute e alla Sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, ha affermato che “la Commissione non ha alcuna intenzione di riapprovare questa sostanza senza il sostegno di una maggioranza qualificata degli Stati membri. Questa è e rimarrà una responsabilità condivisa”.

Purtuttavia, i dubbi sulla pericolosità del prodotto restano, sarebbe opportuno che si potessero aumentare i controlli e appurare sulla dannosità di questo fertilizzante e sulla pratica utilizzata per salvaguardare la salute umana.

 

Le micotossine

L’altro elemento contestato all’industria della pasta, è la presenza nel grano della micotossina DON (deossinivalenolo tossina molto diffusa nei cereali prodotta da funghi tipici di climi nordici, prodotta dai funghi Fusarium graminearum e F. culmorum soprattutto quello proveniente dal Canda. Questi funghi sono patogeni vegetali che possono crescere ai climi temperati. Il DON si ritrova insieme ai suoi derivati (3-acetil-deossinivalenolo (3-Ac-DON) e 15-acetil-deossinivalenolo (15-Ac-DON) e alle forme “mascherate” della micotossina (DON-3-glc).

Il deossinivalenolo (o DON o vomitossina) è una micotossina appartenente al gruppo dei tricoteceni prodotta da alcune specie di Fusarium (F. graminearum, F. culmorum, ecc..). Il DON è una delle micotossine più diffuse negli alimenti e nei mangimi insieme a zearalenone e tossina T-2, soprattutto nei cereali quali grano, orzo e mais.

Benché siano stati fatti studi scientifici sul metabolismo del deossinivalenolo e degli altri tricoteceni, non sono ancora chiari molti aspetti del suo meccanismo d’azione.

I principali effetti tossici sull’uomo e sugli altri mammiferi sono: l’inibizione della sintesi proteica e degli acidi nucleici, alterazione della struttura di membrana e della funzionalità dei mitocondri, apoptosi e attivazione delle citochine; vomito, diarrea, malfunzionamento del sistema ematopoietico (anemia e leucopenia); abbassamento delle difese immunitarie. La dose tollerabile giornaliera (TDI) per l’uomo di deossinivalenolo è stata fissata a 1 µg/kg.

In base alla classificazione internazionale della IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), il DON, insieme agli altri tricoteceni, è inserito in “Classe 3”, cioè non è considerato cancerogeno per l’uomo. Tuttavia, a seguito di uno studio triennale svolto in Cina, nelle regioni di Haimen e di Penlai, riguardo al ruolo della fumonisina B1 nell’incidenza del carcinoma epatico primario, alcuni studiosi hanno ipotizzato un’azione sinergica di altre micotossine nello sviluppo di tale tumore, tra le quali il deossinivalenolo, che era presente nei campioni esaminati in maniera più elevata del solito, tesi dimostrata da ricerche effettuate sui ratti. Tali ricerche, anche se non hanno accertato in maniera diretta l’azione cancerogena del DON, dimostrano in ogni caso la stretta correlazione tra la presenza della micotossina e questo tipo di patologia

La Commissione Europea, “per allinearsi agli standard internazionali del Codex Alimentarius fissati ad aprile 2013: e così facendo, favorire il libero mercato. Obiettivo ha elevare da 750 ug/kg a 1000 ug/kg il Provisional Maximum Tolerable Daily Intake (PMTDI) la quantità della micotossina Deossinivalenolo”, presente nei cereali semilavorati, quali  semola, semolino, fiocchi di orzo, mais, e grano duro. Sia la farina bianca che integrale vedrebbero aumentare i limiti. Per contro, pane, pasticceria, biscotti e snack di cereali, come pure cereali per la colazione, manterrebbero un livello pari a 500 ug/kg. In base a queste nuove soglie, il Panel Contaminants di EFSA ritiene che l’assunzione alimentare per infanti (0-6 mesi) e bambini tra gli 1 ed i 3 anni, ma anche adolescenti e bambini in genere, possa essere motivo di preoccupazione, in quanto sono in una fase iniziale della vita (ed in ragione del peso corporeo relativamente basso)”.

Anche questa micotossina è presente nel grano canadese, a differenza di quanto spesso viene affermato, e a volte rilevato di contenuto a bassa concentrazione.

Ad assicurare la concentrazione presente nel grano sono state effettuate delle analisi dagli istituti zooprofilattici, dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, come nel caso dei dati forniti da Arpa Puglia e dal Centro per la ricerca in Agricoltura e per l’economia agraria (Crea). I campioni analizzati dal 2011 al 2016 dall’Istituto Zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna, hanno rilevato la presenza della micotossina DON (deossinivalenolo tossina molto diffusa nei cereali prodotta da funghi tipici di climi nordici) inferiore a 66 microgrammi per chilo, ovvero 25 volte meno rispetto al limite indicato nel regolamento europeo del 2006 di 1.750 microgrammi.

Anche i dati pubblicati dal Ministero dell’agricoltura attraverso il programma Micoprincem del Crea riferito al triennio 2011-2013 (non ci sono dati più recenti) confermano le basse quantità di DON nel grano canadese importato. Su 46 campioni di cui 13 di frumento duro, il DON è risultato presente nel 77% dei casi con una concentrazione compresa tra 21 e 579 microgrammi per chilo. Solo in un campione è stato rilevato un valore di 1043 microgrammi, comunque inferiore ai limiti di legge. Il Crea, inoltre, afferma di non aver rilevato una relazione tra la concentrazione di micotossine e la durata del viaggio, a dispetto di chi sostiene che i tempi di trasporto sono una causa dello sviluppo di contaminanti. Gran parte della materia prima importata arriva in Puglia dove c’è anche uno dei centri autorizzati per le analisi dei campionamenti effettuati dagli Uffici di Sanità Marittima ovvero dall’Arpa. Nel 2015 l’ente pugliese ha analizzato 238 campioni (quasi la metà erano costituiti da grano duro). (Il fatto alimentare luglio 2017). Delle navi che attraccano in Sicilia sono state effettuate analisi del genere?

 

Alla ricerca della qualità e della verità

Quella del grano è una guerra senza fine, poiché si tratta di una materia molto complessa dove entrano in gioco centinaia di interessi, la cui soluzione diventa sempre più problematica e dove la ricerca e gli Stati coinvolti a discapito della salute umana silenziano e favoriscono inadempienze. Basterebbe il controllo di tutte le merci che arrivano nei porti italiani con nuclei di controllo efficienti e veloci per risalire al grado di inquinamento dei cereali importati. Eppure intorno a questo alimento c’è poca chiarezza, anzi si fa poco per cercare di arrivare ad una soluzione.

Naturalmente il Web impazza con notizie a volte false, interessate, di parte, che disorientano il consumatore con scontri che finiscono spesso in tribunale. Per una vicenda del genere è intervenuto anche il Tribunale di Roma il quale ha rigettato l’istanza cautelare delle società Barilla, Divella, De Cecco, Garofalo, La Molisana e dell’Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) con la quale avevano chiesto la cancellazione dal sito di GranoSalus di una serie di articoli sul grano duro dal presunto contenuto diffamatorio. Si tratta degli articoli che evidenziano il rischio di un potenziale pericolo rappresentato da alcune sostanze (glifosate, DON e cadmio) contenute nei grani duri esteri importati per la produzione della pasta.

Il giudice Cecilia Pratesi, nel provvedimento di rigetto ha precisato che “il diritto di cronaca, di derivazione costituzionale, non può dirsi ristretto a coloro i quali esercitino professionalmente attività giornalistica, ma deve intendersi potenzialmente esteso a tutti coloro che svolgano attività di manifestazione del proprio pensiero con finalità (anche) informativa”. Ed inoltre, nell’ ordinanza fa rilevare che “è vero che i prodotti analizzati non risultano destinati alla alimentazione per la prima infanzia, ma è vero altresì che il superamento dei limiti dei contaminanti previsti per tale categoria “debole” della popolazione non risulta segnalato, e che i consumatori possono essere interessati alla diffusione di tale informazione, onde evitare che il prodotto venga comunque somministrato ai bambini nei primi tre anni di vita“. Il giudice correttamente sancisce non solo la libertà d’informazione ma anche la salubrità del grano italiano. “…è vero che le quantità di contaminanti rilevati nella pasta…non risultano superiori ai limiti di legge, ma è vero anche che la presenza di tali sostanze può legittimamente indurre gli analisti a dubitare della miscelazione del prodotto italiano con grani esteri, posto che nel territorio nazionale la presenza di DON (ed anche di glifosate ndr) è tendenzialmente da escludere…”

Il Tribunale, “a scioglimento della riserva assunta nel contraddittorio delle parti”, ha affermato che “il ricorso deve essere respinto per carenza del necessario fumus boni iuris, restando assorbita per ragioni di economia processuale la disamina delle ulteriori eccezioni sollevate dalle parti”.

 

Quanto si guadagna con la pasta “Made in Italy”

L’Italia è il maggior produttore di pasta mondiale. Nel 2016 il totale trafilato dai pastifici italiani è stato di 3,32 milioni di tonnellate, in rialzo rispetto ai 3,27 milioni dell’anno precedente, ma al di sotto dei 3,42 milioni del 2014. Per una delle industrie simbolo del Bel Paese è il terzo miglior risultato dal 2007, nonostante il calo del fatturato a 4,74 miliardi di euro (-1,1%). Analoga la dinamica dei consumi interni, che, con 1,42 milioni di tonnellate, sono scesi ai minimi del decennio. Il massimo lo si registrò nel biennio 2010-2011 con 1,54 milioni di tonnellate consumati. In crescita invece le esportazioni, per 1,98 milioni di tonnellate (+3,4%), a fronte degli 1,83 milioni del 2015 e agli 1,93 milioni del 2014. A passo di gambero invece il loro valore, sceso a 2,17 miliardi, pari al 46% dei ricavi totali. I dati sono stati diffusi ieri nel corso dell’assemblea annuale di Aidepi, l’Associazione dell’industria del dolce e della pasta, presieduta da Paolo Barilla. 

 

Quando costa la pasta “Made in Italy” agli italiani

Due considerazioni dobbiamo evidenziare che un Kg di pasta mediamente si aggira sugli 80 cent. Per 40 Kg di consumo pro-capite spendiamo per la pasta €. 32,00, ciò significa che una famiglia italiana di 4 persone spende meno di cento €. l’anno, una cifra influente in considerazione che rappresenta l’alimento principale della nostra dieta.

L’acquisto avviene in maniera meccanica sia per la foggia a cui siamo affezionati ma anche per l’accostamento con il condimento, ma anche per la certezza degli ingredienti che la compongono, la legge impone che la pasta prodotta in Italia sia fatta esclusivamente con semola di grano duro e acqua.

Quindi l’acquisto di pasta è spesso un gesto automatico: sono pochi, però, coloro che hanno letto almeno una volta l’etichetta delle confezioni. Tuttavia, anche in questo caso, un’attenta osservazione dell’etichetta consente di farsi un’idea più precisa della qualità e del tipo di pasta che si sta acquistando.

 

Gli elementi che contraddistinguono una buona pasta

Nel frattempo che la materia legata a glifosati e micotossine venga dipanata vediamo quali sono le fasi critiche, quelle che richiedono maggior cura ed attenzione riguardo la realizzazione della pasta: al primo posto appare la scelta e il trattamento delle farine; al secondo posto viene la macinazione; segue l’essicazione e infine la produzione vera e propria.

La buona qualità della pasta è garanzia inoltre del mantenimento dei principi nutrizionali presenti nel grano, che il processo manifatturiero trasferisce pressoché interamente nella pasta, con i suoi valori positivi (carboidrati 72%, proteine 11%, grassi 2% al massimo, oltre all’acqua).

La pasta, è un alimento naturale che non ha conservanti (perché vi provvede la natura stessa), non ha (o non dovrebbe avere) coloranti, non ha additivi e neppure contiene sale. È solo importante che sia adeguatamente lavorata.

 

Cosa dice la legge riguardo la scelta e il trattamento delle farine per la pasta

La produzione industriale della pasta in Italia riguarda per il 90% pasta secca, per il 4,5% pasta ripiena, per il 4% pasta all’uovo e per 1,5% pasta integrale. La legge italiana (4 luglio 1967), per la pasta industriale stabilisce che deve essere prodotta con semola di grano duro, con esclusione della farina di grano tenero al di là di una tolleranza del 3%. L’umidità non deve superare il 12,50% per assicurare la migliore conservabilità. Le proteine devono essere inferiori al 10,50%.

Il decreto del presidente della repubblica 9 febbraio 2001, n. 187  art. 6 e 7, riguardo il Regolamento per la revisione della normativa sulla produzione e commercializzazione di sfarinati e paste alimentari, a norma dell’articolo 50 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 prevede che:

  1. 1. Sono denominati “pasta di semola di grano duro” e “pasta di semolato di grano duro” i prodotti ottenuti dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente:
  2. a) con semola di grano duro ed acqua;
  3. b) con semolato di grano duro ed
  4. 2. E’ denominato “pasta di semola integrale di grano duro” il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e conseguente essiccamento di impasto preparato esclusivamente con semola integrale di grano duro ed acqua;
  5. 3. La pasta destinata al commercio è prodotta soltanto nei tipi e con le caratteristiche seguenti:Pasta di semola di grano duro Umidità 12,50 – Pasta di se molato di grano duro Umidità 12,50 – Pasta di semola integrale di grano duro Umidità 12,50; Proteine rispettivamente: 10,50, 11,50, 11,50; Acidità

massima in gradi, rispettivamente: 4,5,6. (Il grado di acidità e’ espresso dal numero di centimetri cubici di soluzione alcalina normale occorrente per neutralizzare 100 grammi di sostanza secca).

  1. 4. Salvo quanto previsto dall’articolo 12, commi 1 e 4, è vietata la fabbricazione di pasta secca preparata con sfarinati di grano
  2. 5. Nei tipi di pasta di cui al comma 3 e agli articoli 7 e 8 è tollerata la presenza di farine di grano tenero in misura non superiore al 3 per
  3. 6. Nella produzione delle paste, delle paste speciali e della pasta all’uovo è ammesso il reimpiego, nell’ambito dello stesso stabilimento di produzione, di prodotto o parti di esso provenienti dal processo produttivo o di confezionamento. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 6 maggio 1997, n. 155, con decreto del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri dell’industria del commercio e dell’artigianato e delle politiche agricole e forestali, possono essere fissate particolari modalità di
  4. 7. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 si applicano anche ai prodotti preparati a base di sfarinati di grano duro ed acqua, comunque riconducibili merceologicamente alla
  5. 8. La pasta prodotta in altri Paesi in tutto o in parte con sfarinati di grano tenero e posta in vendita in Italia deve riportare una delle denominazioni di vendita seguenti:
  6. a) pasta di farina di grano tenero, se ottenuta totalmente da sfarinati di grano tenero;
  7. b) pasta di semola di grano duro e di farina di grano tenero, se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della semola;
  8. c) pasta di farina di grano tenero e di semola di grano duro, se ottenuta dalla miscelazione dei due prodotti con prevalenza della farina di grano

 

L’etichettatura della pasta

Dal prossimo febbraio 2018, precisamente dal 17, (180 giorni dopo la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta) le confezioni di pasta e riso dovranno essere corredate da informazioni dettagliate sulla provenienza del grano utilizzato.

Il provvedimento anticipa la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011, ciò consentirà di dare massima trasparenza delle informazioni al consumatore, rafforzando la tutela dei produttori e dei rapporti di due filiere fondamentali per l’agroalimentare made in Italy. Un ulteriore sforzo dovrebbe portare l’Unione affinché questo provvedimento possa essere utilizzato dagli Stati membri. I decreti prevedono, a partire dalla pubblicazione sulla al nuovo sistema e lo smaltimento delle etichette e confezioni già prodotte. Quindi, l’obbligo definitivo scatterà il 16 febbraio per il riso e il 17 per la pasta.

In particolare, il decreto prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere in etichetta queste diciture: 1) Paese di coltivazione del grano, cioè il nome della nazione in cui il cereale viene coltivato; 2) Paese di molitura. Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: «Paesi Ue», «Paesi non Ue», «Paesi Ue e non Ue». Infine, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come per esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: «Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue».

Nonostante qualcuno sostiene che con i due decreti interministeriali che introducono l’obbligo di indicazione dell’origine del riso e del grano per la pasta in etichetta si mette fine all’inganno dei prodotti importati dall’estero e spacciati per made in Italy, la mancata estensione a tutti i Paesi comunitari varrà solo per il prodotto confezionato nel territorio italiano e distribuito nel mercato interno. Un produttore di pasta spagnolo, per esempio, continuare a vendere in Italia senza dovere indicare l’origine della materia prima in etichetta. Ciò – denuncia – va contro i principi portanti dell’Ue, che fa della libera circolazione delle merci e della concorrenza leale le proprie colonne portanti. La legge obbliga di fatto, insomma, solo chi produce in Italia».

 

Le operazioni produttive

Le operazioni produttive, pur con i notevolissimi avanzamenti tecnologici che hanno accentrato ed unificato il processo e cambiato volto, ripercorrono “concettualmente” le fasi tradizionalmente necessarie per ottenere la pasta e cioè: l’impastamento, per ottenere una prima amalgama delle materie prime; la gramolatura, per rendere omogeneo, compatto, morbido l’impasto al fine di evitare fermentazioni anticipate; la formatura (torchiatura e trafilatura) che serve a distribuire per bene la sfoglia, a levigarla e a dare la pressione giusta per trafilarla.

Risultano molto influenti anche l’acqua, che deve essere adatta alla lavorazione; per esempio un’acqua troppo dura si ripercuote sulla qualità del prodotto che diventa scuro, fragile, meno gustoso; il processo di essicazione che consiste nell’operazione di asciugatura e di stagionatura la modalità influisce sullo stato di conservazione della pasta, sulla sua resistenza, sul sapore, sul colore, poiché il manufatto può fermentare, ammufficare, screpolarsi o presentare tacche o punti bianchi. Le alte temperature riducono i tempi di produzione ma creano anche una diminuzione del valore nutritivo della pasta. Infatti, c’è una componente delle proteine, la lisina, già carente nel grano, che risulta progressivamente distrutta man mano che la temperatura di essiccazione aumenta. Lo stesso accade per alcune vitamine del gruppo B.

Il confezionamento, le modalità di produzione sono rilevanti nel determinare la resa del prodotto perché incidono, ad esempio, sulle reazioni di elementi come l’amido e il glutine, sulla compattezza della pasta, sui tempi di areazione. La pasta, è un alimento naturale che non ha conservanti (perché vi provvede la natura stessa), non ha (o non dovrebbe avere) coloranti, non ha additivi e neppure contiene sale. È solo importante che sia adeguatamente lavorata.

 

Piccoli segreti della pasta

La qualità della pasta, giova ripetere, è essenziale per la riuscita di un piatto perché deve garantire il mantenimento del giusto nerbo, evitando che l’amido si disciolga nell’acqua di cottura. Il buon sapore le viene specialmente dalla presenza della gemma, che è l’elemento vitale di un chicco di grano.

La ricerca della qualità della pasta dunque è un esercizio che passa attraverso l’accertamento che la pasta sia di grano duro, ovviamente ad eccezione dei tipi per i quali siano richieste differenti miscele. La pasta di semola di grano duro è dotata di una maggiore quantità di proteine, che assorbono acqua e migliorano la tenuta del prodotto.

E poi occorre dare uno sguardo all’aspetto della pasta, quando essa è ancora cruda: dovrà essere luminosa, liscia, uniforme. Controluce dovrà apparire nitida, senza ombreggiature, o screpolature; qualche raro punto segnala invece la presenza della gemma che è primaria sorgente di vitamine;

al colore, che dovrà apparire giallo ambrato limpido. Se il giallo è troppo intenso c’è il sospetto di presenza di coloranti;

alla rottura: perché la pasta deve dare un suono secco quando la si rompe e la spaccatura deve risultare netta;

alla cottura: la buona pasta è quella che cresce notevolmente, tre volte e mezzo circa il volume di partenza. L’acqua di cottura non deve rivelare collosità e non deve intorbidirsi. La pasta deve potersi cuocere omogeneamente, non di più all’esterno, donde si trasmette il calore, e non meno nella parte più interna.

Importante è anche la trafilatura della pasta; le trafile possono essere di due diversi materiali: di teflon (tipo di pasta) o di bronzo. L’utilizzo del metallo è più complesso e costoso, ma porta ad alcuni vantaggi nella qualità organolettica della pasta. In particolare, rende la superficie più rugosa, e questo fa sì che il sugo si “attacchi” meglio alla superficie.

il tempo di cottura è sempre indicato sulla confezione, oggi la pasta “non scuoce” più. Ma questa non è una virtù, quanto un espediente del marketing. Quando una pasta non supera mai la cottura al dente, ad esempio, è perché è stata essiccata ad alta temperatura (dagli 70 gradi in su). Spesso, però, non digeribile.

Per Rita Acquistucci, dirigente dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (www.inran.it) ”Da un lato, infatti, le proteine del glutine del grano formano una sorta di cortina molto compatta all’esterno della pasta, che avvolge l’amido senza farlo uscir fuori durante la cottura (l’amido fuoriuscito è il bianco che resta nell’acqua). Dall’altro, le alte temperature modificano i legami tra le molecole di amido, formando dell’amido retrogradato. La pasta, allora, “passa inalterata attraverso l’intestino tenue, e, quindi non viene digerita”.

Essiccare a bassa temperatura, però significa tempi più lunghi, produrre meno. E costa di più. Mentre l’alta temperatura consente all’industria c accontentarsi di una miscela di cere di qualità minore.

Il colore Anche il colore della pasta risponde ad esigenza di marketing e mercato: dev’essere preferibilmente ambrato, un bel colore giallo. La pasta, essiccata a bassa temperatura, è generalmente meno colorata di quella essiccata ad alta, a meno che la semola non sia particolarmente ricca in pigmenti. Un grano di ottima qualità si presta ad una essiccazione ‘a bassa temperatura, in tal modo, il prodotto finito manterrà integre le proprietà nutrizionali della materia prima”.

 

Pasta integrale perché deve costare di più?

Produrre una pasta (davvero) integrale costa meno di quella “bianca”. Perché la pasta è fatta di farina e acqua, e da 100 chili di grano duro si ricavano 92/93 chili di farina integrale, non più di 70 di semola di grano duro. E per questo che la pasta integrale de “La terra e il cielo” costa meno di quella di semola. Molte “integrali” in commercio, invece, sono più care della pasta di semola dello stesso brand.

E possibile produrre integrale aggiungendo crusca o cruschello alla semola; tuttavia, le materie prime utilizzate devono essere riportate in etichetta. In via teorica una pasta integrale dovrebbe costare meno di una pasta di semola. La pasta di semola integrale di grano duro ha un contenuto totale di fibre che oscilla attorno al 6-7%, nettamente superiore alla quantità presente nella pasta di semola (circa il 3%). Questa consistente diversità determina il colore tipicamente marrone di questa pasta e ne modifica anche la consistenza e il sapore dopo la cottura. Le fibre consentono di regolare il funzionamento dell’intestino e favoriscono una più graduale assimilazione delle sostanze nutritive. È noto da diversi decenni, inoltre, che un’adeguata presenza di fibre nella dieta è correlata alla prevenzione di alcune importanti malattie cronico-degenerative: dal cancro del colon al diabete, dall’infarto cardiaco A alla diverticolite del colon.

 

La pasta per celiaci si prepara con cereali privi di glutine 

Da qualche anno a questa parte si trova in commercio con una certa facilità anche un tipo di pasta per celiaci. La celiachia è una malattia infiammatoria dell’intestino che si manifesta in individui geneticamente predisposti dopo l’ingestione di glutine (una proteina presente nel frumento e in cereali come farro, orzo, segale, avena). Esistono inoltre diverse persone che, pur non essendo celiache in senso stretto, non tollerano il consumo di cereali e prodotti che contengono glutine. La celiachia e l’intolleranza al glutine, se quest’ultimo non viene eliminato dalla dieta, producono diversi disturbi come fermentazioni intestinali fastidiose, diarrea o stitichezza, coliche, afte (ulcere a livello orale), ecc. Le paste che rispondono alle particolari esigenze di questi soggetti sono preparate con sfarinati di mais, di riso e di miglio, tutti cereali privi di glutine.

 

Il formato della pasta

Una volta accertata la qualità, si può scegliere tra circa 600 formati di pasta i cui nomi spesso si differenziano secondo le regioni e i dialetti. Tanto che ancora una volta il Tommaseo nel suo “Dizionario dei Sinonimi” al proposito scriveva: “… la suddivisione delle idee difficulta la sintesi e rende le menti cedevoli come pasta.”

La forma della pasta comunque influisce sul risultato. La scelta di un formato piuttosto che un altro non è fine a se stessa, ma ha precise motivazioni che sono in funzione del condimento che si intende impiegare, della minore o maggiore compatibilità che la superfice della pasta presenta nei confronti del tipo di sugo con cui deve congiungersi.

Indicativamente si può affermare che un formato di pasta a superfice estesa risponde meglio alla vigoria di un intingolo deciso; il formato filiforme preferisce il sugo di   o quelli a base d’olio e aglio; la pasta corta e bucata predilige la forza del ragù; e se è rigata è in grado di meglio trattenere il condimento. E via dicendo, secondo l’esperienza e l’autonomia creativa di ciascuno.

 

Conclusioni

 Mentri u medicu studia u malatu si nni va.

Il proverbio siciliano è abbastanza comprensibile anche per gli stranieri. In sintesi, nel frattempo che la politica nazionale, europea e mondiale provvede ad accertare se i contaminanti presenti nella pasta e nel pane, in particolare glifosati e micotossine nuocciono alla salute umana, bisogna lasciare libero il consumatore di potere scegliere di mangiare alimenti con presenza o meno di elementi inquinanti.

Il consumatore ha il diritto di sapere se sta mangiando una pasta con grano italiano, così come pane, pasta, riso, carne, salumi, condimenti, verdura o frutta ecc. Una richiesta legittima che perviene da più dell’80% di consumatori italiani manifestata attraverso un indagine del Ministero.

Granosalus ha ragione che protende a richiedere l’obbligo di indicare in etichetta le sostanze nocive contenute nella pasta, come il glifosato o muffe. E’ anche un diritto sapere da parte del consumatore la soglia minima imposta dalla legge e in quale quantità è presente il glifosato nell’alimento che stiamo consumando.

In molti siamo convinti che la stessa campagna d’opinione contro l’olio di palma, da quando dal dicembre 2014 è stato reso obbligatorio dichiararne la presenza nelle preparazioni alimentari, ha determinato in molti consumatori il diniego d’acquisto di prodotti che lo contenevano con la conseguenza che molte aziende di trasformazione hanno dovuto sostituirlo, e nelle loro pubblicità inneggiano al fatto che quel prodotto è stato preparato senza la presenza di olio di palma.

I pastificatori temono che lo stesso effetto d’onda possa avere ripercussioni anche sul grano d’importazione.

La domanda sorge spontanea diceva il mitico Lubrano: quali interessi si celano dietro l’ostinazione d’utilizzare grano con inquinanti? Le risposte sono molteplici: calmierare il prezzo del grano italiano; incapacità di poter produrre pasta con contenuto proteico con valori nazionali, cosa che in molti pastifici viceversa fanno; oppure, e mi sembra una risposta alquanto strana favorire le aziende produttrici di glifosato, allora saremmo veramente alla follia. Insomma, il silenzio o le mezze verità della politica nazionale ed europea provoca una mancanza di certezze che sui prodotti alimentari non dovrebbero esistere.

Per chi ha poca dimestichezza di agricoltura assicuro i consumatori o i disinformati che il grano duro prodotto nel mezzogiorno non contiene sostanze inquinanti perché non esiste alcun motivo del loro utilizzo.

 

Ad ogni buon fine inviterei a leggere questo Regolamento allegato per capire il paradosso dell’intera vicenda.

REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) 2016/1313 DELLA COMMISSIONE del 1o agosto 2016 che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 per quanto riguarda le condizioni di approvazione della sostanza attiva glifosato

(Testo rilevante ai fini del SEE)

LA COMMISSIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea,

visto il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (1), in particolare la prima alternativa di cui all’articolo 21, paragrafo 3,

considerando quanto segue:

(1)La sostanza attiva è stata iscritta nell’allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio (2) dalla direttiva 2001/99/CE della Commissione (3).

 

(2)Le sostanze attive iscritte nell’allegato I della direttiva 91/414/CEE sono considerate approvate a norma del regolamento (CE) n. 1107/2009 e sono elencate nella parte A dell’allegato del regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 della Commissione (4).

 

(3)L’approvazione della sostanza attiva glifosato, come indicato nell’allegato del regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011, scade sei mesi dopo la data di ricevimento da parte della Commissione del parere del comitato per la valutazione dei rischi dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche, o entro il 31 dicembre 2017 se questa data è anteriore.

 

(4)Il 30 ottobre 2015 (5) l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (di seguito «l’Autorità») ha trasmesso alla Commissione la sua dichiarazione sulla valutazione tossicologica dell’ammina di sego polietossilata (n. CAS 61791-26-2), una sostanza usata di frequente come coformulante nei prodotti fitosanitari contenenti glifosato. L’Autorità ha concluso che, rispetto al glifosato, in tutti i punti finali esaminati sono stati osservati effetti tossici significativi dell’ammina di sego polietossilata. Un altro motivo di preoccupazione che è stato segnalato riguarda il potenziale dell’ammina di sego polietossilata di incidere negativamente sulla salute umana se impiegata nei prodotti fitosanitari contenenti glifosato. L’Autorità ha inoltre ritenuto che una probabile spiegazione dei dati medici negli esseri umani per quanto riguarda i prodotti fitosanitari contenenti glifosato è che la tossicità deriva soprattutto dalla componente ammina di sego polietossilata nella formulazione.

 

(5)A norma della direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (6) in combinato disposto con l’articolo 55 del regolamento (CE) n. 1107/2009, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare lo sviluppo e l’introduzione della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi al fine di ridurre la dipendenza dall’utilizzo di pesticidi. Poiché i prodotti fitosanitari contenenti glifosato sono ampiamente utilizzati in applicazioni non agricole, gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché l’utilizzo di tali prodotti sia ridotto al minimo o vietato in aree quali parchi e giardini pubblici, campi sportivi e aree ricreative, cortili delle scuole e parchi gioco per bambini, nonché in prossimità di aree in cui sono ubicate strutture sanitarie.

 

(6)I prodotti fitosanitari contenenti glifosato sono utilizzati anche in applicazioni pre-raccolto. In alcune situazioni gli usi pre-raccolto intesi a frenare o evitare una crescita indesiderata di erbe infestanti sono in linea con le buone pratiche agricole. Sembra tuttavia che i prodotti fitosanitari contenenti glifosato siano utilizzati anche allo scopo di controllare il momento del raccolto o di ottimizzare la trebbiatura, benché si possa ritenere che tali usi non rientrino nelle buone pratiche agricole. Tali usi possono pertanto non essere conformi alle disposizioni dell’articolo 55 del regolamento (CE) n. 1107/2009. Nell’autorizzare i prodotti fitosanitari gli Stati membri dovrebbero quindi prestare particolare attenzione a che gli usi pre-raccolto rispettino le buone pratiche agricole.

 

(7)La Commissione ha invitato i notificanti a presentare osservazioni.

 

(8)Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche e tecniche è opportuno modificare le condizioni d’uso della sostanza attiva, escludendo in particolare l’utilizzo del coformulante ammina di sego polietossilata (n. CAS 61791-26-2) nei prodotti fitosanitari contenenti glifosato.

 

(9)Il regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 dovrebbe essere modificato di conseguenza.

 

(10)A norma dell’articolo 27, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1107/2009, deve essere stabilito un elenco di coformulanti la cui inclusione nei prodotti fitosanitari non è accettata. La Commissione, l’Autorità e gli Stati membri hanno iniziato a lavorare al fine di stabilire tale elenco. Nel corso di tali lavori la Commissione presterà particolare attenzione ai coformulanti potenzialmente nocivi utilizzati nei prodotti fitosanitari contenenti glifosato. L’elenco di coformulanti inaccettabili sarà stabilito in futuro in un atto separato, conformemente ai requisiti procedurali di cui all’articolo 27, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1107/2009.

 

(11)Le misure di cui al presente regolamento sono conformi al parere del comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

Articolo 1

Nella settima colonna «Disposizioni specifiche» della voce numero 25 sul glifosato nella parte A dell’allegato del regolamento (UE) n. 540/2011, il testo è sostituito dal seguente:

«Possono essere autorizzati solo gli usi come erbicida.

Per l’applicazione dei principi uniformi di cui all’articolo 29, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 1107/2009, si deve tener conto delle conclusioni del rapporto di riesame sul glifosato, in particolare delle relative appendici I e II, nella versione modificata il 27 giugno 2016 dal comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi. Nell’ambito di questa valutazione generale gli Stati membri:

devono prestare particolare attenzione alla protezione delle acque sotterranee nelle regioni sposte a rischi, soprattutto in rapporto ad usi non colturali,
devono prestare particolare attenzione ai rischi derivanti dall’uso nelle aree specifiche di cui all’articolo 12, lettera a), della direttiva 2009/128/CE,
devono prestare particolare attenzione a che gli usi pre-raccolto rispettino le buone pratiche agricole.

Gli Stati membri provvedono affinché i prodotti fitosanitari contenenti glifosato non contengano il coformulante ammina di sego polietossilata (n. CAS 61791-26-2)».

Articolo 2

Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, il 1o agosto 2016

                                                                                                Per la Commissione Il presidente

                                                                                                           Jean-Claude JUNCKER

(1)  GU L 309 del 24.11.2009, pag. 1.

(2)  Direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU L 230 del 19.8.1991, pag. 1).

(3)  Direttiva 2001/99/CE della Commissione, del 20 novembre 2001, che modifica l’allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, con l’iscrizione delle sostanze attive glifosato e tifensulfuron metile (GU L 304 del 21.11.2001, pag. 14).

(4)  Regolamento di esecuzione (UE) n. 540/2011 della Commissione, del 25 maggio 2011, recante disposizioni di attuazione del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’elenco delle sostanze attive approvate (GU L 153 dell’11.6.2011, pag. 1).

(5)  EFSA Journal 2015; 13(11): (4303). Disponibile online all’indirizzo: www.efsa.europa.eu

(6)  Direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi (GU L 309 del 24.11.2009, pag. 71).