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Che fine hanno fatto i Gal?

Li chiamano GAL (Gruppi di Azione Locale) espressione di partenariati pubblico-privato che operano secondo l’approccio Leader (dal basso) ed hanno come obiettivo lo sviluppo delle aree rurali siciliane. I GAL siciliani in questa programmazione sono 22 e gestiranno dai 3 a 7 milioni di euro per interventi riguardanti la diversificazione e attività extra agricole (agriturismi, b&b, fattorie didattiche, interventi in tecnologie della comunicazione e dell’informazione), ripristino di piccole infrastrutture rurali (strade, muretti a secco, borghi rurali) e ancora, attività di cooperazione e programmi di agricoltura sociale per soggetti svantaggiati, il tutto nell’ambito del PSR Sicilia 2014-2020 Misura 19.

Nonostante i propositi e gli annunci i GAL, ad oggi, non sono riusciti a spiccare il volo. I ritardi sono notevoli. I GAL lamentano “il ritardo nell’approvazione delle disposizioni attuative, avvenute solo la scorsa settimana, la lentezza e la poca esperienza della burocrazia regionale all’attuazione di un Piano di sviluppo, ai continui trasferimenti e pensionamenti del personale già formato, ad una riforma scellerata del Dipartimento agricoltura che ha trasferito la politica di sviluppo regionale a nove Ispettorati, frammentando e provincializzando l’intero programma, ecc.”.
A questo va aggiunto l’impostazione politica che ha ridotto i GAL ad una macchina burocratica che elargisce aiuti alla strega degli Ispettorati Provinciali dell’Agricoltura.

Ma c’è di più. Le risorse, a causa del ritardo, restano inutilizzati. Una somma ingente costituita da 122 milioni di euro di spesa pubblica previsti dal Programma di sviluppo rurale della Sicilia 2014-2020, cofinanziato dal Fondo europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale e altri 65 milioni di euro, appostati sul Piano operativo regionale Sicilia 2014-2020 e cofinanziati dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale. Un investimento complessivo da 187 milioni di euro che resta immobilizzato. Soldi che avevano l’obiettivo di trasformare i Gal in vere e proprie vetrine per il turismo rurale, culturale ed enogastronomico di qualità al servizio dei rispettivi territori di appartenenza, nei quali si puntava “a creare circa 500 nuovi posti di lavoro”.

Quindi soldi che potrebbe dare subito una boccata d’ossigeno alle aree rurali siciliane che lamentano ritardi e alle prese con una crisi allucinate. E la politica resta a guardare. Presa tra: vitalizi si o no, problema dell’immondizia, la campagna elettorale europea, poltrone da occupare, incarichi vari, ecc. resta muta, mentre tanti giovani in questo frangente hanno già fatto le valigie e sono scappati via.