Festival del giornalismo enogastronomico: il racconto della Sicilia testarda

Al Cre.Zi.Plus di Palermo si racconta la Sicilia testarda, quella che resta o che torna. Si racconta nel suo orgoglio e nel suo desiderio di radicarsi al territorio (o di radicarsi nuovamente), di farsene interprete, di profilarsi e di riconoscersi. Ma come si comunica questa opportunità? A chi spetta raccontarla? A che titolo? Per chi?

All’insegna dei diversi registri, dei canali e degli orizzonti comunicativi, dei pareri non sempre convergenti dei più vari attori in un mercato in fermento, si è chiuso domenica 15 dicembre la sesta edizione del Festival del Giornalismo Enogastronomico, una tre giorni ospitata – dopo le puntate a Galati Mamertino – in un angolo attrezzato dei Cantieri Culturali alla Zisa.

Professionisti a vario titolo nel mondo del food&drink si sono incontrati per verificare lo stato dell’arte di un settore (in teoria) sempre più sulla cresta dell’onda, a dispetto di un mercato traballante, spesso verboso e di una fluidità molto social nella trasmissione dei contenuti, nonché di ampie difficoltà editoriali e di una frequente incertezza di piani tra dovere di informare e occasione per promuovere.

[ngg src=”galleries” ids=”14″ display=”basic_imagebrowser”]A più riprese i relatori dell’evento si sono interrogati appunto su cosa si dice e cosa si dovrebbe dire, a chi, in base a quali competenze attese dal mittente e dal destinatario. In questa filiera dell’informazione a tema, l’anello conclusivo (che forse meriterebbe un affondo aggiuntivo) è costituito ora da lettori di testate generaliste o specialistiche, ora da fruitori attivi di agenzie comunicative, ora invece da destinatari di pervasivi battage pubblicitari.Ma rimane la domanda, ennesima parafrasi del buon Carver: di cosa parliamo quando parliamo di cibo e di vino?

Ecco che la filiera dell’informazione si allinea alla filiera dei prodotti nella sessione sulla certificazione – e dunque comunicazione certa – di qualità dei prodotti agroalimentari e sull’uso della blockchain; o nel panel in cui docenti come Gianfranco Marrone e Pietro Virgadamo promuovono l’altissima formazione da parte degli operatori specializzati; o Roberto Lagalla e Ivo Basile che, con accenti diversi, richiedono a chi vuole lavorare nel settore disponibilità verso conoscenze multidisciplinari e competenze trasversali (e soprattutto scioltezza nelle lingue straniere).

Posizionarsi in questa catena produttiva per identificare il proprio angolo visuale – la “realtà” sfuggente di cui ha parlato Tony Siino – è uno degli obiettivi tanto per raccontare il cibo e il vino, quanto per “leggere” le informazioni che stanno sulle etichette, sui social, sui blog e sulle testate, generaliste e specialistiche. Il giornalismo è e deve restare fonte di conoscenza di qualità: oltre che un incontro con chi produce e trasforma gli alimenti, la sesta edizione di questo Festival del Giornalismo Enogastronomico, organizzato dall’associazione Network, ha insistito sul terziario dei servizi, all’insegna del bando ai protagonismi inutili del Made in Sicily e dei “comunicatori” a volte poco limpidi e troppo presenti.

Conosciamo bene l’autopromozione asfissiante del marchio “territorio”, nel nostro caso del marchio “Sicilia”, come spesso accade nel mondo del vino con l’ossessivo ritornello del terroir anche e soprattutto nel caso di prodotti industriali e decontestualizzati. Ora giornalisti, comunicatori e pubblicitari siamo chiamati a promuovere una cultura reale del territorio, senza virgolette, e del food&wine: ovvero ad affondare le storie che hanno tanto successo tra i lettori con una storia e una progettualità che portino i nostri prodotti lontano nello spazio, nel tempo e nella scala dei valori.