San Giuseppe il santo della Provvidenza e protettore della Dieta Mediterranea

La festa del Patriarca San Giuseppe cade a cavallo tra due grandi cicli stagionali: la primavera e l’inverno; coincide inoltre anche con la Quaresima e con il mangiar di magro, digiuno che veniva interrotto dalla festa del Patriarca, che smorzava, per una giornata, i languori dei 40 giorni di astinenza forzata.

Alcuni sono convinti che il digiuno quaresimale sia strettamente di ordine religioso, per altri il digiuno e il mangiar di magro erano condizionati dalla reale mancanza di vino e dalla fine delle provviste.

Specialmente per i contadini, era naturale nutrirsi prevalentemente di erbe, cavoli e verdure, senza quasi mai toccare la carne o altri grassi, cercare di non limitare la riserva del maiale per farla giungere almeno fino a Pasqua o a giugno all’inizio del nuovo raccolto.

Nel passato, l’occasione della tavola di San Giuseppe diventava la festa dei poveri, e non solo di essi, per interrompere la frugalità dei pasti quotidiani con le numerose portate e con l’abbondanza.

Il convito devozionale in onore di San Giuseppe nella tradizionale dell’Italia Meridionale prevedeva una varietà di portate il cui numero dipendeva della promisione del devoto o dalla consuetudine locale. A Chiusa Sclafani e nella crispiana Ribera si arrivava a 100 portate, tra l’altro, annunciate dallo sparo di un colpo di fucile. In altri parti a 13 portate. Piatti preparati con la genuinità e la semplicità che contraddistinguono la tradizione; la memoria e la sapienza delle donne hanno tramandato ricette, ingredienti, porzioni.

L’analogia del “cibo della provvidenza” degli altari e delle tavolate dedicate al Patriarca S. Giuseppe, rigorosamente poveri costituiti da legumi, cereali, ortaggi, verdure spontanee, hanno un forte legame con la Dieta Mediterranea.

Un legame che ha un fondamento religioso, storico e culturale. Le pietanze sangiuseppine rispecchiano quelle connotazioni scientifiche e peculiari di quella dieta che fu propugnata per la prima volta dal grande nutrizionista americano Ancel Keys, a seguito dei risultati di quel poderoso studio che fu il Severi Countries Study, un’indagine durata dieci anni dalla quale emerse che, tra le nazioni considerate, l’Italia e la Spagna presentavano la più bassa incidenza di morti per infarto del miocardio. Uno studio che confermò, tra l’altro, che tale protezione non era dovuta a un fattore genetico, ma alimentare.

I piatti devozionali di S. Giuseppe sono uguali a quelli della Dieta Mediterranea. Infatti, sono totalmente banditi dalle tavolate e dagli altari carne, uova, latticini e formaggi. Un tabù alimentare che trova riscontro anche perché S. Giuseppe si festeggia sempre in periodo quaresimale, durante il quale, tradizionalmente, ci si astiene o si limitano queste pietanze con assenza di contenuto di proteine animali che, tra l’altro, interferiscono nel metabolismo dei grassi innalzando il livello del colesterolo.

Le popolazioni dei paesi del Sud, per la festa del Santo, nella tradizione popolare ritenuto protettore degli orfani, delle ragazze nubili, dei poveri, della santa Provvidenza e avvocato delle cose impossibili, preparano dei piatti poveri, quelli che scientificamente sono chiamati fitoalimurgici, cioè le piante spontanee commestibili.

Un campionario alimentare davvero singolare ognuno con una propria specificità gastronomica e medica che la natura, provvidenzialmente, nel periodo dell’equinozio primaverile, copiosamente elargisce per purificare l’organismo dai grassi alimentari che si sono accumulati durante l’inverno.

Oltre alle verdure spontanee e gli ortaggi di stagione, la festa di S. Giuseppe, apre le porte alla primavera e quindi nuove produzioni soprattutto legumi e cereali; pertanto, quelli dell’anno precedente sono interamente consumati, spesso da soli a volte o in combinazioni di cereali, realizzando così, un’alimentazione proteica equilibrata.

I legumi, sia per la quota delle proteine (che si integrano con quelle dei cereali), sia per la presenza del ferro, e inoltre per la ricchezza di fibre, assumono una particolare importanza nell’ambito della Dieta Mediterranea. Le fibre, infatti, oltre a migliorare la funzionalità dell’intestino, riducono le forme di stitichezza, tanto abituali nella nostra civiltà contemporanea; riducono anche il rischio del tumore del colon e svolgono un’indiretta, ma efficace, azione protettiva nei confronti del diabete, dell’ipercolesterolemia e dell’ipertrigliceridemia.

Tra i piatti di S. Giuseppe non mancano: pasta e ceci, pasta e fagioli, pasta e lenticchie, ecc. Pietanze cucinate all’esterno dell’abitazione, in grossi pentoloni dal devoto “quarari sacri”, il quale, a Grazia ricevuta, offre gratuitamente un piatto di pasta e legumi a tutto il vicinato. Sebbene le proteine siano presenti in notevole quantità, la loro biodisponibilità è piuttosto bassa, inferiore a quella delle proteine che si trovano in altri alimenti di origine vegetale. Questa bassa digeribilità (60-80%), le cui cause non sono ancora del tutto chiare, sembrerebbe legata principalmente a due fattori: la particolare struttura di alcune frazioni proteiche resistenti all’azione delle proteasi e la presenza di fattori endogeni (polifenoli, fitati, fibra, inibitori di proteasi, lectine), detti fattori antinutrizionali, capaci di interferire attraverso diversi meccanismi con l’utilizzazione delle proteine”. (Arcari Morini D., D’Eugenio A., Aufiero F.). Difficoltà che viene superata grazie ai lunghi tempi di cottura cui i legumi vengono abitualmente sottoposti. Infatti, una buona parte di questi composti risultano assenti al momento del consumo, e le proteine risultano denaturate, tutto ciò determina una migliore digeribilità dei legumi e un maggiore assorbimento.

La qualcosa, consiglia, di associare e integrare l’uso dei legumi con quello dei cereali (relativamente poveri di lisina), per ottenere una miscela il cui valore biologico è paragonabile a quello degli alimenti di origine animale: pasta e fagioli, pasta e ceci, riso e piselli ecc.
I legumi, allo stato secco, sono anche ricchi di glucidi complessi, amido e fibra solubile. Il loro contenuto di glucidi, mediamente, è di oltre il 50%; il principale è l’amido (con contenuto superiore al 40%), seguito da pentosani, destrine, galattani. Pertanto il loro valore calorico è elevato e li rende un’ottima fonte di energia. Su tutti la fanno da padroni ceci e fave abbrustolite “ciciri e favi caliati” da distribuire ad amici e parenti che vengono a far visita al Santo della Provvidenza.

La tradizione o se volete il Santo, pretende anche una variante gastronomica più gustosa: pasta (bucatino), finocchi e sarde cosparse di mollica abbrustolita e dolcificata con lo zucchero. Guai a sgarrare. Il santo potrebbe arrabbiarsi.

Comunque sia, la centralità della festa al padre putativo di Gesù è il pane. La “Grazia di Dio” che come dice Cirese, «…si presenta in forma ambivalente: buono da mangiare diventa anche buono a comunicare. Cioè capace di veicolare immagini o più esattamente significati che sono diversi dal semplice ed elementare significato di essere se stesso, e cioè pane da mangiare». Il pane è anche segno e rappresentazione. I pani votivi non sono, infatti, solo beni alimentari: erano, e continuano a essere, anche autentici capolavori d’arte plastica effimera, adesso degni di essere usati come soprammobili e un tempo come preziosi talismani, capaci di consentire alla povera gente di affrontare «in regime protetto», come soleva dire Ernesto De Martino, «la presenza del negativo nella storia». Durante le tempeste, quando la natura può mettere in pericolo la vita della comunità, si spezza un pezzo di pane benedetto e si butta in strada, recitando una colorita orazione a Santa Barbara, la miracolosa Patrona dei fulmini, cui si è ispirato, in un suo celebre romanzo, lo scrittore sudamericano Jorge Amado.

Quindi, piatti vegetariani a Km 0, le cui proteine sembrano ridurre e migliorare l’attività degli scambi del colesterolo stesso a livello dei recettori specifici cellulari.

Nel pranzo di S. Giuseppe entra obbligatoriamente l’olio di oliva, che oltre a presentare una migliore resistenza al deterioramento perossidativo, ciò non solo per la sua ricchezza in monoinsaturi, quanto anche per la presenza nell’extravergine di agenti antiossidanti, tocoferoli e polifenoli, al centro oggi dell’attenzione degli studiosi per la loro azione protettiva nei confronti delle malattie cronico-degenerative.

L’antipasto di S. Giuseppe prevede 3 spicchi di arancia e una sarda salata; quest’ultima è ricca di acidi grassi omega-3, che contribuisce, unitamente all’olio di oliva, alla protezione contro le malattie cardiovascolari.

I carboidrati presenti nella Dieta Mediterranea (55 – 65% delle calorie totali, rappresentati in prevalenza da carboidrati complessi: pane, pasta, legumi. Il pane e la pasta non vanno considerati soltanto come fonte di energia, ma anche come fonte di proteine di discreta qualità e di vitamine E, Bi e B2.

L’altare va adornato con frutta e verdure fresche, e quindi deve essere valutato il loro contenuto in fibre, sali minerali e vitamine.
Naturalmente sotto gli occhi del Santo non manca mai la frutta secca. Purché non se ne abusi, è un vero alimento-medicina ed ha molte proprietà e benefici per la salute. Noci, nocciole, mandorle, pistacchi sonocostituiti da grassi (monoinsaturi e polinsaturi), ed anche proteine, fibra, vitamina E, vitamine B1 e B2, calcio, ferro, potassio, magnesio, acido folico e molti altri fitonutrienti. E’ consigliabile consumare giornalmente una piccola quantità di frutta secca che contiene Omega 3 e Omega 6 capaci di mantenere cuore, vasi sanguigni e cervello in salute.

I dolci di san Giuseppe sono costituiti dalle sfince e dalla pignoccata. Due dolci che hanno a che fare con il miele e che occupano un posto secondario nella Dieta Mediterranea.

La pignoccata pare derivi dai“mylloi”o “mylli”(dolci con sesamo e miele usati nell’antichità per le feste di Demetra e Kore) pare che avessero forme di pube e anche fallica. Il nome lo trae dalla caratteristica forma di pigna, anche se, talvolta, assume la forma di un vero e proprio cono che, nella simbologia spirituale cristiana, indica il processo di elevazione dalla materia allo spirito, dalla terra a Dio.

La sfincia è il dolce più antico della storia dell’umanità. Camuffato con il nome di frittelle lo troviamo in centinaia di pagine della Bibbia, Corano e vari libri storici. Si tratta di paste, azme o più o mene lievitate. Dolce o salate, ma comunque, sfinci.

L’origine è berbera, visto che dolci simili sono conosciuti nel Nord dell’Africa e si chiamano anche lì, sfinci, dall’arabo “sfang” col quale viene indicata una frittella di pasta addolcita con il miele. Questo dolce, insieme al pane antropomorfo e alle tradizionali vampe erano ricorrenti nelle feste romane dedicate al Liber pater un particolare S. Giuseppe della vita precristiana.

Il vino rosso, in dosi limitate, che non dispiace al Santo falegname, è sempre presente sugli altari e tavolate, a volte in quelle singolari caraffe riempiete misteriosamente con metà acqua e metà vino, accompagna i pasti con l’effetto favorevole di favorire la digestione a il livello metabolico, con una riduzione del colesterolo totale e un aumento del colesterolo-HDL (noto anche come “colesterolo buono”); va rilevato inoltre che nel vino sono contenuti dei potenti antiossidanti polifenolici, come il resveratrolo, la quercetina e la catechina.

Pippo Oddo sostiene che: «Farsi devoto di S, Giuseppe è come stipulare un’assicurazione contro le avversità della vita. Malattie, fame nera e terremoti, carcere, invasione di cavallette. Per ogni disgrazia trova una soluzione, il paziente sposo della Vergine Maria».

Nonostante la Dieta Mediterranea sia sotto la protezione dell’UNESCO, contro la globalizzazione ha anche bisogno di una protezione divina, e S. Giuseppe padre putativo di Gesù, per le motivazioni esposte può assolvere anche al ruolo di protettore spirituale.