Riparte la stagione del ficodindia
Nonostante la mancata piovosità riparte la stagione del ficodindia. Le previsione fanno presagire che saranno un po’ più piccoli, ma sicuramente molto più saporiti.
Il ficodindia è stato introdotto in Sicilia dal nuovo continente (Messico). Nel linguaggio dei fiori la cactacea simboleggia la circospezione. Una credenza popolare asserisce che il ficodindia in origine fosse una pianta velenosa e che sia stata introdotta dai Turchi per distruggere la popolazione siciliana, ma un miracolo la risanò dando così uno squisito e nutriente frutto. Un’altra credenza afferma che una piccola pala di ficodindia portata al collo guarisce dalla tonsillite. Nei giorni di vendemmia, alla prima colazione, era d’uso far mangiare molti fichidindia agli operai. E questa una “trovata” dei padroni (camuffata da devozione) onde far mangiare agli stessi il minor quantitativo possibile di uva durante le operazioni di raccolta! E da ricordare al riguardo che un eccesso di frutti, mangiati a digiuno e senza pane, può creare problemi all’intestino (la classica ntuppatura), per via dell’accumulo dei semi. Curiosa è la storia legata alla scozzolatura: pare infatti che un signore, volendo fare un dispetto al vicino, nottetempo si recò nel campo di questi e gli asportò tutti i fiori dei fichidindia onde impedirgli di mangiare la relativa frutta. Ma la natura, provvida come sempre, si ribellò alla malvagità umana ed emise una seconda fioritura che diede frutti più grossi, benché meno numerosi. i Bastarduna, infatti, hanno anche il pregio di maturare tardivamente e quindi di incontrare un mercato più favorevole.
Passando al melograno è da rilevare che è stato introdotto in Sicilia dai Fenici che avevano l’abitudine di usare i frutti e i fiori nelle cerimonie religiose. La coltivazione del melograno nell’Isola è testimoniata da Empedocle di Agrigento nel V secolo a. C.
La pianta figurava nel culto, molto diffuso nelle popolazioni siciliane, di Proserpina e di Plutone; come nel culto dell’arcifamosa Venere Ericina sul Monte Erice dove le sacerdotesse accoglievano i marinai che approdavano da quelle parti e si concedevano loro dietro compensi in denaro o in natura.
Il popolo siciliano, ha rilegato la curiosa pianta a elemento per recinzioni di piccoli appezzamenti di terreno, o di piccoli aree accanto le casette rurali destinati all’auto – consumo familiare o anche per utilizzarlo come foraggio di fortuna per gli animali. John Galt, scrittore e drammaturgo britannico che visitò l’Isola nel 1808 disse: «In ogni parte voi v’incontrate piantagioni di fichi d’India, in ogni villaggio coperte ne sono le stalle. Se egli porta un paniere, questo non sarà d’altro pieno che di fichi d’India. Ogni asino che la mattina s’avvii alla città, è carico di fichi d’India. Esistono diverse varietà che danno frutti variamente colorati: bianchi (muscaredda); gialli (surfarini); aranciati (moscateddi); rossi (sanguigni). I frutti, di forma ovoidale, hanno uno spiccato gusto esotico. Nel ficodindia, cactacea davvero curiosa, i rami sono formati da cladodi (detti pale) sui quali si formano prima le gemme e poi i frutti.
De Gasparin, agronomo francese che visitò la Sicilia definì il popolare frutto «la manna, la provvidenza della Sicilia […], ciò che il banano è per i paesi equinoziali e l’albero del pane per le isole dell’Oceano Pacifico». “Si può inoltre concordare tranquillamente con lui quando conclude che il succulento frutto era il solo lusso di cui godeva il povero di Sicilia. Ancora cento anni dopo il suo viaggio la letteratura folclorica siciliana era unanime nel ritenere che, per i meno abbienti, il ficodindia faceva le veci del pane, da agosto a dicembre. Alimena (PA), San Cono (CT), Militello in Val di Catania (CT), Roccapalumba (PA), Santa Margherita di Belìce (AG), sono i comuni dove verranno organizzate le varie sagre del ficodindia a presto il calendario.