Economia e Lavoro

E’ arrivato il tempo delle filiere…

grano duro sicilianoLa costruzione di reti di interessi comuni, a mio avviso, è uno degli elementi e segnali più qualificanti che l’agricoltura siciliana può dare se vuole affrontare le sfide del presente e del futuro. Spesso, non basta essere dei bravi produttori all’interno della propria azienda agricola; così come la costruzione di reti di interessi comuni non deve riguardare solo un segmento della filiera ma coinvolgere tutti gli attori della stessa a prescindere dal ruolo e dal segmento che ognuno di essi occupa, ivi compresi i consumatori finali. Del resto, nella visione dell’UE, questo rappresentano le OP (Organizzazioni di Produttori). Visione in parte applicata con alcune misure del PSR Sicilia 2007-2013 quali i PIF, (Progetti integrati di filiera) e, per certi aspetti, la 124 (cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nei settori agricolo, alimentare e forestale).
Nei territori, (anche macro-Regioni) dove i produttori hanno saputo consolidare strutturate intese al proprio interno e trasparenti rapporti con il mondo esterno, per definire progetti di medio lungo respiro, si sono potute affrontare meglio le sfide della qualità delle produzioni e della complessità dei mercati, mettendo insieme la produzione, la ricerca applicata e l’industria di trasformazione. La prossima programmazione dei fondi comunitari 2014-2020 ribadisce il ruolo delle OP dentro una visione di approccio integrato e di uso efficiente delle risorse destinate ad uno sviluppo regionale intelligente, sostenibile e inclusivo. Con la costituzione di OP efficienti e significative come superfici aggregate, potranno arrivare risorse importanti anche alla produzione agricola. Ma può essere, mi chiedo, solo un problema di reperimento e gestione di risorse finanziarie? Assolutamente no. E’ un problema di approccio e di visione diversa che i produttori agricoli devono acquisire, partendo dal fatto che spesso, l’industria di trasformazione siciliana si è sottratta a rappresentare quel binomio territorio-produzione che rende appetibile il brand Sicilia in molte parti del mondo. Per fortuna molte esperienze positive si sono realizzate; penso ad alcuni esempi che si sono concretizzati all’interno del mondo della produzione quando essa decide di chiudere il progetto di filiera al proprio interno.
I produttori della Valle dei Dittaino, in provincia di Enna, riuniti in una cooperativa, hanno saputo creare una realtà importante nell’ambito del pane e dei prodotti da forno. Una realtà che produce di 150 q.li di pane al giorno ed è presente in 900 punti vendita. Un’altra esperienza di micro rete, vede insieme alcune produttori di grano duro di Valledolmo, un’area interna della Sicilia, nelle basse Modonie. Una pasta, ottenuta da idonee varietà per caratteristiche del glutine, attraverso una trafilatura in bronzo e da una lenta essicazione, con 22 formati diversi e una linea biologica si sta affermando nel territorio e in alcuni punti vendita della GDO. I cereali, classicamente, in Sicilia sono stati avvicendati con le leguminose da granella. Mi ha fatto piacere conoscere una interessante realtà operante nella Sicilia orientale: la Legumeria di Modica. Un’azienda che nasce da un’idea dei titolari dell’agriturismo “il Melograno” che trasformano i legumi prodotti all’interno del territorio Ibleo in piatti pronti per l’uso, utilizzando delle ricette tradizionali; quindi ceci, lenticchie, fagioli, fave, macco, prodotti confezionati e presenti in tanti punti vendita di 11 Comuni diversi della Sicilia Orientale.
Qualche settimana fa ho partecipato a un incontro a Palermo in cui veniva presentata una proposta di filiera del grano duro di qualità che va sotto il nome di “TRINACRIA”. Proposta che vede insieme l’industria rappresentata dalla società De Matteis Agroalimentare S.p.A. con sede a Flumeri (AV), l’Azienda Costa di Vicari come stoccatore e la Syngenta per quanto attiene alla fornitura dei mezzi tecnici e l’assistenza tecnica di campo. La sottoscrizione di un disciplinare di produzione è funzionale al raggiungimento dei livelli-obiettivi di proteina richiesti, intervenendo sull’avvicendamento colturale, la scelta varietale, la semina, la concimazione, la difesa fito-patologica e le modalità di raccolta e di stoccaggio. L’accordo tra le parti prevede il pagamento in 3 periodi diversi (20/10/2015, 20/01 e 20/05/2016 attraverso la determinazione del prezzo come media aritmetica della quotazione max del listino settimanale pubblicato dalla C.C.I.A.A di Foggia.
Conosco tante piccole realtà dove alcuni produttori di grano duro (soprattutto di varietà vecchie quali Senatore Cappelli, Russello, Timilie, ecc. ottime per la produzione di farine per la panificazione) insieme a mulini artigianali e panificatori locali provano a proporre ai consumatori dei pani dalle caratteristiche particolari. Così il pane nero di Castelvetrano e tante piccole realtà locali di questo genere. Prodotti che mantengono un sapore particolari ed una maggiore conservabilità grazie anche all’uso del lievito madre. Un interessante lavoro tecnico-scientifico della Stazione di Granicoltura per la Sicilia di Caltagirone ha messo in evidenza le differenze tecnologiche delle vecchie varietà di grano duro con quelle più recenti nell’ambito della panificazione e valutando i seguenti parametri: spessore, elasticità, tenacità croccantezza e friabilità della crosta e della mollica, dimensioni e omogeneità degli alveoli della mollica e coesività della mollica-crosta. Questi esempi mi portano a proporre dei modelli di filiera territoriali che vanno dalle micro reti locali a quelle con valenza regionale o extra-regionale. Un dato interessante: in Sicilia circa il 40% del grano duro prodotto viene utilizzato per la panificazione. Ci sono spazi per produrre semole orientate per la produzione di diverse linee-tipologie di pani e di pizza per gli utilizzatori finali (famiglie). Soprattutto proponendo la partecipazione alla filiera di gruppi di cerealicoltori, piccoli mulini artigianali, panificatori locali e degli Istituti di ricerca preposti.
Tre prodotti da forno simbolo di molte aree rurali della Sicilia, conosciuti con nomi diversi a seconda della località, sono il “ cudduruni”, la “ focaccia” e la “infriulata”. Il cudduruni è una simil-pizza di diametro più piccola e più spessa, cotta nel forno a legna che utilizza ingredienti tipici del territorio quali pomodori, cipolla, acciughe, formaggio pecorino, olive nere, olio di oliva extravergine e origano. La focaccia rappresenta il matrimonio tra il cereale e la ricotta con l’uso dell’olio di oliva extravergine e scaglie di caciocavallo o pecorino. Infine la infriulata è una specie di calzone che contiene al proprio interno una tipica verdura di campo: la bieta vulgaris, insieme a cipolla, patate, lardo o salsiccia e sempre condita con olio di oliva extravergine. Questi tre prodotti da forno della tradizione possono essere elevati e riconosciuti come prodotti tipici regionali come lo sono la cassata o i cannoli siciliani. Basterebbe che alcune aziende agrituristiche e di ristorazione tipica locale iniziassero a proporli nei loro menù ma potrebbe essere anche una nuova idea imprenditoriale da destinare ai circuiti della GDO.
I seminativi delle aree interne della Sicilia possono rappresentare un punto di ripartenza per tutta l’economia regionale solo se saremo capaci di mettere insieme tradizione e innovazione, partendo proprio dalla costituzione e dall’organizzazione di reti di gruppi di interesse locali sul modello delle “filiere corte; l’utilizzo di precisi “disciplinari di produzione” e la valorizzazione di alcune entità-biotipi locali (varietà di cereali o di leguminose da granella, frutta, ortaggi, ecc.) possono contribuire a segnare ulteriormente la differenziazione tra i modelli alternativi “locale-globale” per soddisfare le esigenze di molti consumatori sensibili e per conquistare nuovi potenziali consumatori a cominciare dai tanti turisti che scelgono la Sicilia come metà di mare, di testimonianze storiche, di saperi e di sapori eno-gastronomici. In questo contesto l’agricoltura biologica e i prodotti bio hanno un potenziale di sviluppo straordinario. Di questo mi occuperò in una mia successiva riflessione.
Simone Sangiorgi – Agronomo
(I.S.F.A. Innovazione, Sviluppo e Formazione in Agricoltura)

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