I cambiamenti climatici e le nuove forme di vita nella zona mediterranea

Presentazione standard1L’argomento che vado a trattare con tanta  umiltà e senso di rispetto verso coloro che la  pensano diversamente da me, riguarda  gli effetti dei cambiamenti climatici sul mondo vegetale  della zona mediterranea.

Tali cambiamenti, oltre ad avere riscaldato i mari e gli oceani, portando maggiore quantità di umidità nell’atmosfera,ci fanno assistere a fenomeni alluvionali che un tempo erano molto più rari, e che si verificavano nelle zone tropicali ed equatoriali.

Alcuni studiosi hanno parlato,  a Lampedusa), del  proliferare  di vegetali (alghe  fin’ora conosciute in zone sempre tropicali  ed equatoriali del pianeta).

La mia testimonianza,oggetto della presente,consiste nell’avere scoperto,una decina di anni fa, su un ramo di quercia(quercia virgiliana)una piccola parte legnosa in decomposizione di circa cm50 con dentro alcune piantine di Felce (Polipodium cambricum L) insieme a delle piantine di ciclamini (Cyclamen  repondum Sm, Asparagus acutifolius. L e un esemplare di Colchium bivonae.Guss.)

Quella presenza mi ha incuriosito e stranizzato, poiché sapevo che queste forme di Epifitismo erano e sono molto presenti nei climi tropicali, dove le piante epifite (muschi, licheni, felci, felci corna d’alce, orchidee,e bromeliacee) riescono a vivere, impiantandosi su una pianta ospite alla ricerca del sole,grazie ad una grande quantità di umidità.

Nelle nostre zone, invece, l’epifitismo ha sempre riguardato soprattutto muschi e licheni che vivono abbarbicati ai tronchi. La nuova scoperta mi ha incuriosito, perché ci troviamo nell’arida Sicilia,e precisamente nella“Riserva Naturale Orientata  Monti  di Palazzo Adriano e Valle del Sosio”, località  Azzalora.

Nell’anno 2008 L’Azienda Foreste Demaniali di Agrigento, promuoveva un concorso fotografico sulla riserva,grazie alla dedizione e alla professionalità dell’allora dirigente forestale dott. ssa Olimpia Campo.

Il tema riguardava la flora, la fauna, paesaggi, aspetti geologici e antropologici ricadenti nella Riserva.

Io ho avuto un’esitazione: se presentare la foto di quella biocenosi o la foto di alcune ammoniti raccolte all’interno della Riserva.

Recatomi presso quell’esemplare di quercia ho notato che oltre alle piantine osservate in precedenza, erano nate piantine di  di Edera comune(Edera helix L).

Per evitare che quella Quercia potesse attirare curiosi, che avrebbero potuto danneggiare  il climax che si era instaurato su quel ramo, (alto dal suolo m 4,50), ho partecipato al concorso  con le ammoniti,arrivando il primo tra tanti concorrenti. (vedi giornale “La Sicilia” del 28/09/2008 e 30/09/2008 e giornale di Sicilia del 28/09/2008

I primi di novembre del corrente anno, una forte bufera di vento e pioggia  si è abbattuta in quella zona, rompendo il ramo  della quercia che faceva da supporto a quella biocenosi. Per fortuna il ramo abbattendosi al suolo ha mantenuto la biocenosi  per intero  e senza averla danneggiata.

Subito mi sono adoperato a recuperare il ramo e a conservare quella nuova realtà constatando che vivono ancora in perfetto climax le seguenti specie: Ciclamino, Edera comune, Asparago pungente, Felce comune, oltre ad una pianta  di Colchico del Bivona.

Fin qui la storia della biocenosi trovata in località Azzalora di  Palazzo Adriano.

Ora mi rendo conto che questo fenomeno va analizzato sotto l’aspetto botanico, chimico, fisico e ambientale per capire come tutto ciò sia potuto verificarsi.

Secondo le notizie sull’epifitismo fino ad ora conosciute, la presenza dell’asparago, a  mio modesto parere,  rappresenta una rarità, essendo questa una pianta munita di fusto legnoso, che ha bisogno per vivere e svilupparsi di una serie di micro e macro elementi e del  terreno sia esso sciolto che argilloso.

Essa infatti non è una pianta Epifita ,non ha bisogno di sostegno, non necessita di sollevarsi dal suolo  per avere il sole o per sviluppare le funzioni clorofilliane e vegetative in genere.

Noi sappiamo che le piante legnose necessitano  di un certo Ph, di micro elementi come il boro, il manganese, il rame, lo zinco e il molibdeno e di macro elementi come il calcio, il magnesio, lo zolfo, il ferro e ancora Azoto fosforo e potassio e principalmente  di un certo grado di umidità per sciogliere i sali che devono essere assimilati dalle piante. Questo grado di umidità, nel clima siciliano, è stato sempre il tallone di Achille, infatti, ogni annata agraria è stata messa in ginocchio dalla siccità. La pianta  dell’asparago in osservazione, si presenta  ben sviluppata e ben lignificata e la fuoriuscita dei turioni avveniva  contemporaneamente a  quelli che si trovavano a terra, altro fatto significativo, che lo scrivente può confermare  è che i turioni erano ben sviluppati e assaggiati presentavano le stesse caratteristiche  organolettiche di quelle che si trovavano al suolo.

Ora se il livello produttivo è primariamente condizionato dall’assorbimento di – N- che ne stimola l’accrescimento,se la mancanza dello stesso  rende la pianta più vulnerabile alle avversità  atmosferiche e parassitarie,se in certi periodi dell’anno, a causa della mancanza di acqua, si rompe il sinergismo tra acqua e azoto; com’è che la pianta di asparago della nostra biocenosi non ha risentito di questo fenomeno? La mancanza di azoto  oltre ai danni citati,dovrebbe mostrare la pianta carente di fotosintesi clorofilliana, e la sua fitomassa non si sarebbe dovuta sviluppare.

L’azoto che può venire dalla decomposizione organica o dalle piogge,non essendo interrato si volatilizza subito N-NH3. Lo stesso  vale per il fosforo e  potassio che in condizioni climatiche avverse e con scarsa umidità finiscono per non essere solubili.

L’epifitismo,come già accennato, nei climi tropicali non è rappresentato da piante parassite,ma semplicemente da piante che non trovando al suolo la possibilità di competere con le altre essenze presenti, raggiungono attraverso la disseminazione naturale una pianta ospite,senza danneggiarla, per godere della luce solare e svolgere la funzione clorofilliana.

Il fatto curioso, nel nostro caso è l’asparago: poiché in nessuna rivista scientifica  si parla di esso come di una pianta epifita; e soprattutto che le condizioni ambientali siciliane sono e sono state sino ad oggi completamente avverse allo sviluppo  di queste biocenosi.

Mi rendo conto, sempre di più che a volte può essere la necessità a spingere una pianta, che  cresce bene sul suolo, a diventare epifita anche nelle nostre zone.

Se per esempio, s’incendia un vasto territorio boschivo e si perdono le piante del sottobosco, la felce libera le spore sul terreno bruciato e alle prime piogge spunteranno le nuove piantine. Nel momento in cui il sottobosco ricresce e le piantine di felce non riescono a captare la luce. La felce attraverso la disseminazione naturale cercherà appoggio su una pianta ospite.

Ma può una pianta di asparago  comportarsi come una pianta epifita?Può una pianta come l’asparago nascere e vivere su una pianta ospite?

Gli interrogativi sono tanti, ma la biocenosi da me studiata mi fa rispondere con un si.

IL clima è cambiato e i nostri boschi stanno diventando sempre più simili alle foreste tropicali.

Ora analizziamo il nostro caso sotto l’aspetto nutrizionale delle piante che formano la biocenosi.

Vorrei ricordare che essa è formata da ciclamini,edera,felce, asparago ed il  colchico del Bivona.

Lo sviluppo e la sopravvivenza di queste piante può spiegarsi con l’accumulo,su quella porzione di ramo di quercia, di foglie secche, legno in decomposizione, escrementi di uccelli, tutte cose che hanno formato  un humus o un substrato ricco di sostanze nutritive,che hanno permesso alla biocenosi di alimentarsi.

L’humus non è altro che la trasformazione della materia organica, essa è  in un divenire continuo,e crea un gruppo di sostanze particolari (per composizione e proprietà fisiche e chimiche)indicate con il nome generico di composti umici.

Di questi buona parte è data  dagli acidi umici solubili negli alcali e un’altra parte insolubile, formata dall’umina  costituita da composti peptici: lignina e acidi umici legati a componenti minerali  argillosi  del suolo.

Come si nota anche la formazione dell’humus è influenzata, oltre che dai fattori chimico-fisici anche da quelli ambientali e biochimici, dalla presenza di acqua per l’idrolisi degli acidi umici ricchi di materia organica  proveniente dalla degradazione di sostanze semplici. Queste formeranno  l’humus  nutriente e quelle più complesse, ricche di lignina, l’humus stabile.

C’è da chiedersi:in quel tratto di ramo, l’humus per diventare solubile ha trovato tutte queste sostanze? Alla luce di quanto osservato dobbiamo dire di si e pertanto la nostra biocenosi si è alimentata e sviluppata.

Vorrei evidenziare che le piante epifite dei climi tropicali  hanno difficoltà a procurarsi l’acqua e i sali minerali occorrenti per il loro ricambio,pertanto presentano dispositivi particolari per ovviare a tali difficoltà (foglie a cono, piante con radici pendenti fornite di un’epidermide verde, altre con caratteristiche tali da potere ospitare  insetti e piccoli anfibi)

Ora proviamo ad immaginare una biocenosi di piante epifite e cormofite come quella che stiamo trattando.

In un clima arido come quello  che ogni anno caratterizza la zona dei monti Sicani, dove generalmente smette di piovere a fine marzo, per poi riprendere  nei mesi di ottobre-novembre;come hanno fatto a resistere e a svolgere le funzioni metaboliche questo insieme di essenze, annidate su un pezzo di ramo, con un apparato radicale intrecciato  tra radici di edera,felce ed asparago? Non cito i ciclamini né il colchico del Bivona poiché queste due piante vanno in riposo e  durante la stagione estiva sono assenti.

Da un attento esame del tronco ho potuto notare che le radici delle piante epifite non hanno intaccato la parte vegetativa della pianta ospite. Pensare che possano essersi conficcate nel legno della quercia e, li, assorbire piccole quantità di linfa è impossibile; poiché le radici sono semplicemente poggiate nell’insenatura che si è creata con l’andar del tempo e si presentano coperte da uno stato di circa cm 5 o cm7 di sostanza organica.

Trascurata, quindi, questa ipotesi, non resta che pensare al fenomeno dell’igroscopicità, e cioè a quella possibilità che hanno le piante di servirsi dell’umidità che si trova nell’atmosfera, specialmente durante la notte. Questa ipotesi  contrasta, però, con le temperature rilevate sul posto dallo scrivente (mese di Luglio, prima decade gradi 35 all’ombra e 41 al sole alle ore12,00. Mese di Agosto, gradi 36 all’ombra e 40 al sole alle ore 11,00). Tali temperature hanno portato in stress idrico persino l’Ampelodesmos mauritanicus (disa in dialetto siciliano,o saracchio)che è provvista di un particolare apparato radicale idoneo a sostenere la pianta in  terreni aridi  e ad alte temperature, poiché le foglie funzionano da parasole.

Noi non parliamo di muschi o licheni che sono revivescenti, cioè possono disseccarsi senza morire, entrando in una specie di riposo o di vita latente, per tornare a vegetare col ritorno dell’umidità.

Parliamo di una pianta di asparago,che necessita di discreta quantità di acqua e che quotidianamente ha fatto i conti con il sole cocente. Va sottolineato che l’asparago e la felce non sono piante  con strutture idonee a captare goccioline di acqua e conservarle per i bisogni fisiologici e metabolici. Queste piante non hanno radici pendenti, che nei climi tropicali servono per raccogliere l’acqua piovana o l’umidità, né hanno peli squamosi che  servono sempre allo stesso scopo.

Qui la grande assente è l’acqua, sicchè ogni ipotesi perde corpo, e dobbiamo capire come questa biocenosi ha fatto a  superare tante stagioni estive, crescendo in ottima salute con una sfarzosa biomassa.

Sta a noi  continuare a fare l’ipotesi dell’igroscopicità,o meglio dell’igro-morfosi: una pianta  modifica le sue caratteristiche in particolari condizioni  ambientali.

La ricchezza d’acqua del suolo o l’abbondanza dell’umidità nell’aria può modificare  il comportamento di una pianta. L’asparago resta sempre una pianta xerofita,che necessita di un suolo su cui sviluppare il suo apparato radicale e attingere da esso acqua  e sostanze per le sue funzioni vitali.

Questa biocenosi ha fatto nascere in me tanti dubbi che cercherò, con  l’aiuto di persone  molto più preparate di me in tale settore,di chiarire.

Le domande sono tante e si ripetono:

Può una pianta xerofita, che necessita di un terreno agrario,nel volgere di un decennio comportarsi come una pianta epifita?

Forse è influenzata dal clima?

Quali cambiamenti sta subendo il nostro clima per possedere più umidità dei tempi passati?

L’atmosfera si è arricchita di tanta umidità si da far nascere nuove  forme di vita ?

Certo qualcosa è cambiato:il clima inquinato da polveri sottili, l’inquinamento dei fiumi ,dei mari e degli oceani,l’effetto serra .Tutto ciò ha fatto si che la temperatura del nostro globo si sollevasse  di qualche grado e continuerà a sollevarsi sempre di più.L’uomo deve capire che il biotopo non è più in grado di smaltire ciò che produciamo,ma principalmente quanto inquiniamo a livello  di suolo e di atmosfera. Continuando di questo passo ai nostri nipoti consegneremo una pattumiera:

Se le emissioni di gas serra continueranno ad aumentare,gli studiosi del clima prevedono un ulteriore aumento della temperatura .Tutto ciò provocherà:aumento del livello degli oceani,lo scioglimento dei ghiacciai,precipitazioni e siccità,eventi metereologici estremi (alluvioni, cicloni, tornadi), desertificazione.

Il cambiamento climatico ha fatto si che circa 56 specie di pesci esotici si sono adattate nei nostri mari.Penso che  simili novità si possono  trovare anche nel mondo vegetale(piante che cambiano il loro comportamento).

A causa delle variazioni climatiche che minacciano di alterare gli ecosistemi regionali,molte specie vegetali e animali sono costretti a spostarsi  per trovare habitat più favorevoli, ad adeguarsi ai cambiamenti in corso.

Ogni fragile ecosistema presente in ciascun continente è particolarmente vulnerabile alle oscillazioni termiche. Le zanzare coinvolte nella trasmissione  di malaria,febbre gialla o altro si sono spostate anche in montagna. Le montagne, quindi  possono essere considerate il barometro dei cambiamenti climatici. I cambiamenti  in corso nelle zone montane, secondo i climatologi, sono un’anticipazione di ciò che potrebbe verificarsi negli habitat della pianura.

Tutto ciò può,secondo me, avvalorare la tesi che anche una pianta xerofita può diventare epifita in particolari condizioni ambientali.