La ruralità delle isole minori

Chi ha la fortuna di approdare nelle 14 isole minori, che come uno stellario, coronano la Sicilia, sarà ammaliato dal fascino di questi singolarissimi lembi di terre. Isole piene di curiosità, di luce, di calore, di paesaggi, di profumi, di sapori, ecc. Isole eterne, irrefrenabile voglia di dominatori che a questi angoli hanno guardato con avidità e travolgente desiderio. Isole minori, dalle differenti caratteristiche, sia sotto l’aspetto fisico-geografico-naturalistico sia quello socio-economico, con l’unico fil rouge che li lega: la loro origine vulcanica. Posizionate all’interno del bacino mediterraneo, proiettano bellezze naturalistiche, paesistiche e culturali davvero singolari. Terre protagoniste di un vissuto unico e irripetibile. Gente che ha convissuto con il mare, e da esso sono arrivati i molteplici pericoli, ma anche le buone nuove. Gente che ha dovuto subire prove di ogni genere: pirati, mercenari, colonizzatori, baroni, insomma, di tutto e di più, e che comunque, grazie alla loro tenacia ha sempre trovato il modo per sopravvivere. E la sopravvivenza non era condizionata solamente dai nemici del mare, ma dal mare stesso, che con la salsedine era in grado di bruciare ogni tenue germoglio che cercava di sopravvivere. La temerarietà della gente delle isole è riuscita anche a placare e vincere questa contrarietà la lotta per la vita e per la sopravvivenza li ha portati a inventarsi coltivazioni all’interno di strutture ovali di pietra, oppure coltivazioni riparate da muretti di pietra a secco, pacciamatura naturale, o come succede a Favignana, all’interno di cave di tufo. Il vento nelle isole è inarrestabile al punto che è capace di obbligare lo sviluppo di essenze forestali in maniera orizzontale. Popolazioni che non si è arresa, anzi ha modellato la terra e l’intero paesaggio in modo da potere utilizzare l’immenso patrimonio vegetativo. I terrazzamenti sono l’empio di come potere rubare un lembo di terra da destinare alla coltivazione. Nonostante le contrarietà e le difficoltà le popolazioni isolane hanno saputo selezionare e proteggere delle tipicità agroalimentari abbastanza singolari.

Nelle Isole le difficoltà di comunicazione del passato fra isole con la terraferma imponevano una totale autosufficienza alimentare. La suddivisione del terreno coltivabile in campi, spesso realizzati con muretti a secco e terrazzamenti, costruiti interamente a mano da generazioni di contadini, erano espedienti per salvaguardare le proprie produzioni. Nelle isole minori siciliane l’agricoltura ha rappresentato, da sempre, la prima forma di attività economica. Ciò ha consentito il mantenimento, l’insediamento delle popolazioni e nel contempo, ha dato origine un insieme di valori immateriali e materiali (tradizioni, usi, costumi, prodotti tipici, manufatti, sistemazioni superficiali e modelli insediativi), tutti elementi, che hanno fortemente connotato l’attuale sistema del paesaggio e dell’ambiente ancora oggi riconosciuti come i costituenti di una ruralità paesaggistica e culturale fulcro delle politiche di sviluppo.

La maggiore utilizzazione del territorio agricolo si manifesta a Lipari, Ustica, e Pantelleria, mentre a Favignana la produzione agricola è moderata.

Cereali e leguminose, matrimonio imprescindibile, sono state le colture obbligate che hanno consentito d’utilizzare la riserva alimentare, soprattutto invernale, quando il mare non permetteva l’attività della pesca.

Cereali e leguminose, alimenti, che potevano conservarsi senza ricorrere a espedienti costosi e difficoltosi. A Lipari, così come a Ustica, l’agricoltura è rilevante con produzione di cereali, uva, ortaggi, legumi, fichidindia, lenticchie. Nelle zone più interne si sono affermate le colture arboree più tradizionali (olivo, agrumi, fruttiferi vari, ecc.).

Il moscato e il passito di Pantelleria, la malvasia delle Eolie, il cappero di Pantelleria e di Lipari, la lenticchia di Ustica, Pantelleria e Linosa, il fagiolo «Luba nostra», insieme anche a una modesta attività zootecnica, con particolari formaggi, costituiscono l’ingente patrimonio agroalimentare delle isole minori.

A Pantelleria l’agricoltura costituisce davvero il perno dell’economia, malgrado le condizioni climatiche e geomorfologiche non siano a essa particolarmente favorevole. Nei secoli, il suolo è stato terrazzato con muretti a secco per favorire la crescita della vite Zibibbo, che oggi rappresenta la quasi totalità del vitigno che consente di produrre il Passito. Anche il cappero (IGP) è un prodotto importante per l’agricoltura pantesca: il “Capperis Spinosa”, considerato una delle qualità più pregiate al mondo, è coltivato nella sua tipologia senza spine in tutta l’isola ma cresce anche spontaneamente nei terreni sassosi. L’ulivo è la terza coltura dell’isola, con un tipo potatura radente al suolo. Tra gli alberi da frutto si coltiva il pesco, il ficodindia e il fico, utilizzati anche per preparare confetture.

L’agricoltura eoliana si è specializzata nella produzione di capperi, uva passa ma sopratutto nella produzione del famosissimo vino Malvasia, caratteristica di Salina, sin dai tempi dei greci e dei romani. A Salina sono presenti alcuni mandorleti. Alicudi presenta aree incolte e altre in erosione, così come Panarea, Filicudi e Stromboli. Vulcano si differenzia per la contestuale presenza di sistemi colturali complessi. Le isole attingevano anche a un patrimonio fitoalimurgco eccezionale: finocchietto selvatico, bietole selvatiche, timo, salvia, e tante altre piante che coronavano i sapori dei piatti delle isole.

Questa penuria agroalimentare spingeva le donne isolane a trovare soluzioni gastronomiche di grande eccellenza. La pasta era preparata in casa e maritata con zuppe di cereali e leguminose: ceci, lenticchie, fagioli ecc. Il pesce quando c’era, alternava i piatti, regalando divagazioni alimentari che con tempo sarebbero diventate indiscusse. Nei momenti di penuria i favignanesi si inventarono le «frittelle di attinie», un tipo di celenterato che raccoglievano nella spiaggia.

Il tonno costituiva l’alimento per eccellenza. E furono le popolazioni isolane che lo definirono «maiale del mare» perché riuscivano a mangiare ogni sua parte e in tutte le maniere: arrostito e irrorato con un intingolo costituito da: acqua di mare, olio, limone e aromi, oppure facendo delle polpettine. Perfino il lattume, cioè il liquido semilane si faceva fritto. E poi ancora, stufato, alla matalotta, involtini, ecc. Arrivarono persino a salarlo diventando la fortuna economica delle isole del trapanese. La pasta e il pane si realizzavano in casa, ma nelle isole a ridosso della costa tunisina arrivò il cuscus, queste palline di semola che dovevano cambiare il modo alimentare delle isole e della costa trapanese. Nelle isole il montone non c’era, allora si provvide ad utilizzare il pesce, quello che costava poco, di scoglio, oppure, grande invenzione, veniva condito con gli ortaggi. Venne rivalutato così questo piatto che ha reso famoso tutta la Sicilia occidentale. Quando le palline di cuscus venivano più grosse, allora prendevano il nome di frascatula che deve essere rigorosamente, come fanno a Favignana, consumato abbiviratu con il brodo di aragosta, piacere che non si dimentica. In gloria entrano anche le pastasciutte: con bottarga, pesto alla trapanese, ecc.

Quando il pane diventa duro, non c’è problema, gli eoliani l’abbrustoliscono e lo conzanu con pomodoro, cipolla, aglio, olio e aromi, ecco la caponata eoliana.

L’orzo e il frumento prodotti nell’isola di Pantelleria davano la farina per il pane biscottato, ‘u viscottu, che accompagna, a tutt’oggi, l’insalata pantesca fatta di pomodori, patate, condita con mennuli, capperi, cipolla, origano e l’olio degli ulivi delle “tanche”. La pasta a mano ed in particolare   i maccarruni e i lasagni vengono apprezzati e gustati con il condimento di salsa di pomodoro fresco come gli spaghetti conditi con olio, aglio e prezzemolo o con il pesto profumato di basilico, mentre i taddiarini si utilizzano per le minestre. L’orto continua a dare le zucche e le melenzane con cui si preparano u cucurummà e ‘u sciakisciuka, mentre la zucca gialla serve nel periodo invernale per una fumante minestra o come gustoso contorno. Ottimi i dolci per i profumi e gli aromi: in particolare per la Pasqua si preparano come una volta i cannateddri, i pasticciotti e i cassateddri; per San Martino li spinci a cuddureddi; per il Santo Natale i mustaccioli di miele e i mustazzola di vinicotto; i ravioli dolci, bolliti o fritti, e i cannoli sono preparati in particolari ricorrenze private.

Comunque sia, le possibilità di sviluppo dei territori isolani dipendono dall’integrazione delle attività turistiche con quelle del settore agricolo, capace di esprimersi anche con prodotti di elevato pregio, apprezzabili dai consumatori più attenti. Lo sviluppo può essere realizzato attraverso l’utilizzazione produttiva delle potenzialità ambientali e dei sistemi turistici locali, che andrebbero perfezionati, e meglio utilizzati al fine di conseguire idonei standard qualitativi, riferiti sempre più a un’utenza più esigente.