Manna delle Madonie, avviate le procedure per la Dop

Sono state avviate in questi giorni le procedure dalle cooperative La 50, Oasi, Nuova Alba e Il Girasole, tutte del territorio madonita, per il riconoscimento comunitario riguardante la Dop (Denominazione d’origine protetta) della manna.

Un prodotto unico la cui origine si perde nella notte dei tempi, così come l’arte di raccolta e coltivazione che sono legati alla produzione, di cui la scrittrice siciliana Giuseppina Torregrossa nel romanzo “Manna e miele ferro e fuoco” per l’edizione Mondadori ha raccontato magistralmente.
“Un bravo mannaluoro è soprattutto un attento osservatore. Azzeccare il momento giusto dell’incisione è la cosa più difficile: nessuno te lo può spiegare, né sta scritto da qualche parte. È l’esperienza quella che conta e anche la sensibilità.

«Talìa e ‘nsignati.» Quel “guarda e impara” era una sorta di mantra che Alfonso ripeteva al maggiore dei suoi figli, al quale secondo la tradizione sarebbero un giorno toccati in sorte proprietà e attrezzi.
Nino camminava accanto al padre che si prodigava in spiegazioni. Come le proprietà tra i nobili secondo il diritto feudale, il mestiere di mannaluoro era tramandato dal padre al primo figlio maschio. Nino crescendo avrebbe dovuto prendere il posto di Alfonso, ma per la sua natura eterea e sensibile non era certo adatto a sostituirlo. Gli piaceva intagliare il legno, ma l’incisione del muddìo lo rendeva inquieto: un conto è lavorare un ramo secco, un conto è tagliare la carne viva.
«Talìa e ‘nsignati», il padre lo richiamava alle sue responsabilità con continue dimostrazioni sul campo. Stringeva forte due o tre foglioline nel palmo delle mani, le appallottolava tra le dita, cercava di spezzarle. Poi apriva il pugno sotto gli occhi assenti di Nino e quelle anziché sbriciolarsi riprendevano la loro forma.
A maggio il verde delle foglie brillava di una tonalità intensa. Alfonso aspettava che quel colore compatto sbiadisse fino ad assumere una leggera sfumatura giallo chiaro. Il viraggio avveniva all’improvviso, nel giro di un giorno l’albero era maturo e si doveva essere lesti a incidere.
«Talìa e ‘nsignati» e Alfonso passava il polpastrello calloso sul bordo sottile della foglia, tagliente come il suo coltello. «Talìa e ‘nsignati» diceva avvicinandosi ai fusti, la cui corteccia durante l’estate si schiariva.
«Talìa e ‘nsignati, il grigio sfuma nel verde» e di colpo tutto il bosco assumeva una languida tonalità cinerina.
«Talìa e ‘nsignati» ordinava al figlio accovacciandosi sulla terra secca e piena di crepe, poi con un dito penetrava nella “spaccazza” attorno al colletto della pianta.
Nel periodo di osservazione, lungo più di due mesi, la tensione non si allentava mai, si doveva evitare che il frassino maturando troppo cominciasse a produrre semi, perché «si ciurisci u muddìu e si jinchi di simen-za, pocu manna ti farà».
A luglio, arrivato il gran caldo, quando le foglie messe di taglio si piegavano verso il basso, il frassino sembrava vittima di un malevolo incantesimo, perché la sua chioma non proiettava alcuna ombra sulla terra. Allora si aspettava ancora qualche giorno, e se la pianta non aveva più sviluppo, cioè non metteva più nuove foglie, era il tempo dell’incisione.
U ‘ntaccaluoru non era un semplice coltello da incisione, ma un vero e proprio simbolo di potere e autorità, un attrezzo adatto a uomini fatti e riniti. Era così affilato che se appena sfiorava un dito saltavano fettine di pelle e si formava una striscia rossa di sangue. Bisognava stare molto attenti, perché una stupida caduta poteva trasformarsi in un evento mortale”.
Quando parliamo di manna viene subito alla mente il famoso episodio biblico della pioggia della nanna sugli Ebrei affamati di ritorno dall’Egitto. “Che cos’è questo” (in ebraico mari hu, da cui manna) si domandarono gli Ebrei al vedere questo cibo caduto dal cielo. Il libro della Sapienza chiamò la manna “cibo degli angeli” e il libro dei Salmi lo chiamò “pane del cielo e pane degli angeli”. Orbene, in Sicilia la manna non piove dal cielo, ma fuoriesce dai tronchi degli alberi di frassino opportunamente incisi dall’uomo.
La nostra regione si distingue per essere l’unica produttrice di questa preziosa linfa che solidifica al contatto con l’aria e che possiede virtù terapeutiche e salutari. Infatti viene utilizzata come dolcificante per i diabetici, come stimolante del metabolismo epatico e delle vie biliari, nelle terapie disintossicanti, nelle cure dimagranti, come lassativo e come purgante.
Il più antico documento che testimonia la coltivazione del frassino da manna in Sicilia è datato 1080 e riguarda un diploma del Vescovo di Messina. Si ritiene che ad introdurre il trassino nella nostra regione siano stati proprio i Bizantini e precisamente in alcune aree delle Province di Palermo, Trapani ed Agrigento. Oggi è rimasta una sola area produttiva, quella madonita, che interessa gli ambiti territoriali dei Comuni di Castelbuono e di Pollina, per una superfice complessiva di crica 200 ettari.
Il risveglio dell’interesse del consumatore verso i prodotti naturali fa ben sperare in un rilancio della frassinicoltura siciliana messa in crisi dai concorrenziali prodotti di sintesi, ricavati dai sottoprodotti della lavorazione dello zucchero. E così il mestiere dello ‘ntaccaloru, cioè dell’incisione della corteccia del frassino, potrà essere ancora una volta tramandato alle nuove generazioni. Normalmente la manna trova utilizzazione come “purgante” (gr. 60 vengono sciolti in ml. 150 di latte caldo,si filtra prima dell’uso); come “lassativo” (gr. 40- gr. 15 per i bambini, vengono sciolti in un bicchiere di acqua calda, si filtra e si aggiungono gr. 30 di miele); come “pane dolce” (gr. 100 si mescolano a gr. 500 di farina cui si aggiungono un bicchiere d’acqua, 5 cucchiai di olio d’oliva, latte e lievito q.b. ed eventualmente gr. 100 di mandorle, sesamo o noci; sciolta la manna ed il lievito nell’acqua tiepida, si aggiungono gli altri ingredienti, si lascia lievitare indi si formano i panetti che vengono infornati a 220~C); come “rinfrescante” per i bambini (si prepara un infuso di foglie di menta in un bicchiere d’acqua indi si aggiungo gr. 1 0 di manna e si filtra). La manna, inoltre trova impiego nella cosmesi: caratteristiche sono la “maschera allo yogurt” che dona luminosità al viso (gr. 10 di manna vengono sciolti in mezzo bicchiere di acqua calda, si filtra. si aggiungono tre cucchiai di yogurt e due cucchiai di amido, indi si spalma sul viso e sul collo per un tempo di quindici minuti); “la maschera alla crusca” che elimina le infiammazioni e le impurità cutanee (gr. 10 di manna vengono sciolti in mezzo bicchiere di acqua calda, si filtra, si aggiungono due cucchiai di crusca, si lascia macerare per 10 minuti e si spalma sul viso per un tempo di 15 minuti); la “lozione al pomodoro” che elimina le macchie da abbronzatura (gr. 20 di manna vengono sciolti nel succo di 2 pomodori cui si aggiunge un pari volume di acqua, si amalgama e si spalma sulle parti del corpo dove è necessario).