Le vie del Grillo portano a Marco De Bartoli

Nel 1978 Marco De Bartoli elegge un baglio di Samperi come base operativa della sua ricerca sul vino di Marsala. Nella cantina trova botti con vini senza età e individua nel tempo il fattore distintivo per ottenere il risultato che ha in mente: profondità di profumi e un susseguirsi di sensazioni saporose e tattili. Laddove, intorno a lui, nel marsalese e in tutta la Sicilia Occidentale, prevale un’agricoltura industriale, che si avvale di vitigni produttivi come il Catarratto comune, De Bartoli punta sul Grillo, cultivar non proprio accomodante, incrocio di zibibbo e catarratto nato nel 1874 e non noto per la ricchezza delle sue vendemmie (che infatti sono saltuarie nel tempo e nelle diverse aree). È su quest’uva che nasce un progetto di adesione al territorio: abitarlo non vuol dire popolarlo, ma sintonizzarsi con la sua storia, farsene interprete, portavoce e viatico. I figli di Marco De Bartoli, Giuseppina, Renato e Sebastiano sono a loro volta la testimonianza che questa scommessa su Marsala e sul Grillo ha avuto il suo esito e ha preso diverse strade.

Il vino di punta dell’azienda è il “Vecchio Samperi”, non codificato nell’alveo del grande vino liquoroso (e infatti non è né fortificato con alcol, né contrassegnato dall’annata), ma che con terminologia moderna si potrebbe includere nel filone “pre-british”. Chi lo beve prova – per la precisione – un “perpetuo”, ovvero un vino che viene rabboccato con il vino della nuova vendemmia sulla base senza data su cui si innesta. È lo stesso concetto del metodo solera (ben noto anche nelle acetaie tradizionali) con file di botti sovrapposte e sfalsate atte a compensare quanto viene spillato da quelle più in basso. “Ciò che facciamo noi, a questo punto, è solo avere pazienza e aspettare che il tempo faccia il suo corso”, dice Giuseppina De Bartoli, che ci ospita in cantina. L’acidità del Grillo in questo caso è essenziale per sostenere l’ossidazione favorita in ogni modo e il sapore sembra solo guadagnarci dal succedersi delle stagioni, dal lungo susseguirsi di sbalzi termici in botti scolme.

Insieme a questo vino atipico all’epoca della sua messa in commercio, l’azienda Marco De Bartoli si allinea alle denominazioni territoriali con il Marsala Superiore Oro (anche in versione Riserva) e un’unica annata (1988) di Marsala Vergine. La cifra distintiva è l’apertura di un orizzonte sensoriale sempre più ampio e avvolgente e, sul piano produttivo, la capacità del Grillo – a maturazione completa – di fornire un grado alcolico anche piuttosto elevato (fino a 16%) e, grazie alla marcatissima freschezza, dalla durata infinita. In questo modo, la fortificazione è minima e consente di arrivare con il minimo sforzo al 18% vol. richiesto dal disciplinare, ottenendo un Marsala più morbido e profumato, con una perfetta integrazione della componente alcolica. Ma c’è un altro elemento che fa la differenza: il terreno di grandissima mineralità con marcata presenza fossile marina, le cui stratificazioni calcaree e tufacee sono evidenti negli scavi che l’azienda sta portando avanti per l’ampliamento della cantina.

La ricchezza e le potenzialità del Grillo si esprimono anche nella versione più “semplice” (eppure imprevedibile alla sua nascita, nel 1990, a differenza di oggi). Il vino bianco secco etichettato con il nome di “Grappoli del Grillo” è, per chi vi si approcci con curiosità, un concentrato di potenza e incisività con un tocco sottile, a prima vista quasi dimesso dato da una vibrazione agrumata più scura, di bergamotto, eccellente in realtà per la cucina locale. Mantenuto più fresco in una conca al di sotto del livello del mare, sempre in contrada Samperi, il Grillo vendemmiato in anticipo prende una nuova strada, “Terzavia”, appunto: si tratta di un metodo classico complesso, sontuoso, interminabile al sorso, esplosivo e versatile, a patto di goderselo a tavola. Tecnicamente pas dosé, ma con un grado zuccherino naturale diverso di anno in anno dovuto all’esito della rifermentazione in bottiglia.

Esiste almeno anche una “quarta via” del Grillo, datata 2006, e oggi sulla cresta dell’onda: il macerato “Integer”, prodotto e affinato in anfora di terracotta non smaltata, prima un mese sulle bucce poi almeno un anno sulle fecce fini e imbottigliato senza filtraggio o stabilizzazione. Si tratta di un vino prismatico, ma incredibilmente immediato per la tipologia, capace di comunicare le caratteristiche del vitigno e la provenienza in modo più scolpito, quasi ritmico. Un sorso che è ancora una volta pieno di sapore, eppure molto fine, a suo modo delicato. Potremmo anche nominare il “Sole e Vento”, blend bianco secco di Grillo e Zibibbo, che ci riporta nella seconda “patria” di De Bartoli, Pantelleria, ma di questo gemellaggio affettivo parleremo forse un’altra volta. Sono tutte espressioni di un vitigno e di una visione originale – con quel fil rouge ossidativo e la mineralità molto diretta, via via in crescita sorso dopo sorso – pertanto magari non per forza condivisibile sempre e per tutti. Di sicuro, i vini di Marco De Bartoli raccontano la storia di un uomo che ha eletto il suo vitigno e ha contribuito a creare il suo territorio.