D’Asero: “La pirateria agroalimentare colpisce la Sicilia. Difendiamo i nostri prodotti e i nostri agricoltori!”
“Quel che suona siciliano” potrebbe essere la traduzione di Sicilian sounding; un trucchetto che viene utilizzato dai pirati agroalimentari così come un falso amico: cioè, quel tipo di parola che in una lingua straniera è ingannevole alle nostre orecchie italiane.
La pirateria agroalimentare mette in giro prodotti dai marchi che ricordano il dop o l’igp siciliano ma che sono fasulli. Pachino per pomodori che si coltivano chissà dove e che non riportano l’etichetta Pomodorini di Pachino, un vino scuro che si chiama semplicemente Avola ma con vendemmia in Australia, arance rosse che non sono le sanguinelle dell’Etna…
“Ce lo dicono anche le cronache di ogni giorno: è un vero e proprio attentato all’agricoltura, alla pesca, all’allevamento e all’economia siciliane – dice il capogruppo del Pdl Ncd, Nino D’Asero – E, per questo, dobbiamo chiedere all’Ue di intervenire contro questi falsificatori e l’utilizzo improprio di parole, colori, località, immagini, denominazioni e ricette che si richiamino alla Sicilia per prodotti che non hanno nulla a che vedere con la nostra realtà”.
Nell’Unione, il fenomeno, genera profitti con volumi d’affari quantificabili in miliardi di euro e, al suo esterno, le cifre si moltiplicano. “Tutti introiti rubati al nostro tessuto economico – sottolinea D’Asero – Solo uno su tre dei prodotti che portano il marchio Italia è prodotto in Italia e uno su dieci di quelli col marchio Sicilia è siciliano”.
Quindi, D’Asero esorta l’assessore all’Agricoltura a intervenire affinché la Ue metta in pratica subito forme legali di protezione dei nostri prodotti, così come finora è stato fatto soltanto per vini e liquori, “anche se il 100% della protezione non è stata ancora raggiunta”.
“Prezioso – sottolinea – sarebbe un registro multilaterale di indicazioni geografiche: strumento basilare per una difesa efficace delle denominazioni alimentari europee a livello internazionale”.
“Infine, dobbiamo difenderci in genere – conclude D’Asero – dall’importazione selvaggia se pur legale: è incredibile che si importino da altre nazioni prodotti qui facilmente reperibili, con una tracciabilità limpida, quindi a garanzia della salute dei consumatori oltre che della economia di una regione ancora in crisi”.