Il nuovo libro di Giuseppe Oddo, pubblicato il IV volume de “Il miraggio della terra”

Atteso dagli studiosi e appassionati di storia, è stato pubblicato per la collana saggi dell’Istituto Gramsci Siciliano di Palermo il quarto ed ultimo volume dello storico Giuseppe Oddo dal titolo: Il miraggio della terra. Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943-1969) con la prefazione di Salvatore Nicosia, (editore Istituto Poligrafico Europeo, 636 pagine, formato cm 24 x 16, euro 25).

L’opera, che l’Autore ha voluto chiamare Il miraggio della terra, narra di un periodo storico lungo 202 anni, ovvero dal 1767 al 1969. Nell’insieme costituisce una vera novità nel panorama delle pubblicazioni a carattere storiografico che ha richiamato l’attenzione di vari studiosi. Un interesse che viene confermato per quest’ultimo modulo che conclude l’intero lavoro. Allo storico Oddo viene riconosciuto il merito di avere approfondito la ricerca sulla questione sociale della popolazione siciliana collegandola ai problemi del territorio. Ha indagato e valorizzato significative piccole storie trascurate da altri studiosi o addirittura sconosciute o dimenticate, proponendo così un’immagine reale della Sicilia, delle condizioni dei contadini siciliani, del loro protagonismo nelle lotte sociali e della loro fame atavica di terra. Tutto questo nell’originalità di affrontare la materia interpretandola come storia sociale dell’Isola, narrata con coerenza secondo la sua visione personale da “libre penseur”, come lui si definisce.

Un libero pensatore la cui formazione risente molto del legame con la comunità rurale di Villafrati, suo paese di origine; delle tante lezioni di vita – come lui stesso racconta – ricevute dalla sua matrice e connotazione contadina; e non ultima ancora, la sensibilità verso i valori risorgimentali accresciuti dalla partecipazione del bisnonno, come portabandiera, alla sfortunata rivolta organizzata da Francesco Bentivegna contro il dispotismo borbonico. Componenti formative che lo hanno indirizzato alla ricerca storica, alla conoscenza del territorio isolano in tutti i suoi aspetti, portando a compimento numerose monografie storiografiche, cui si aggiungono testi relativi alla cultura alimentare del territorio, all’agriturismo (consulente di Turismo Verde), ai romanzi.
Alla narrazione, dunque, si intreccia la sua vicenda umana; emerge in ogni occasione l’innata sensibilità verso il sociale e il battersi sempre al fianco delle classi più deboli. Di conseguenza, era quasi scontato che nel corso della sua vita ricoprisse ruoli di dirigente sindacale nella regione siciliana nel settore delle problematiche agricole e fosse protagonista in tante lotte contadine. Un incarico che lo ha posto di fronte a realtà sociali locali che hanno arricchito la percettibilità delle compassionevoli condizioni dei lavoratori della terra, connesse al secolare divario tra la classe dominante e quelle subalterne e proletarie. E proprio in quegli anni matura il suo percorso culturale che trova avvio con il suo primo libro di storia Lo sviluppo incompiuto. Storia di un comune agricolo della Sicilia occidentale. Villafrati 1596-1960, pubblicato nel 1985, frutto di una lunga ricerca bibliografica e archivistica.

Un esordio dal quale, come egli scrive nell’introduzione, è «uscito fortificato di un metodo scientifico» di ricerca e della consapevolezza «che la questione agraria, con le sue varianti spazio-temporali, è la madre di tutte le questioni storiografiche».

L’ultima sua fatica nella sua interezza, è supportata da una imponente quantità di riferimenti bibliografici e soprattutto da un’approfondita ricerca archivistica. L’autore non tralascia nessuna fonte e nell’ultimo volume riporta numerose testimonianze orali raccolte fra protagonisti ancora in vita. Basti pensare che nei quattro volumi si contano ben 5.368 note, a comprovare come ogni vicenda viene esaminata incrociando sempre ogni notizia con altre fonti edite e/o d’archivio e addirittura con atti dello Stato civile; e i risultati conseguenti sono davvero sorprendenti. Infatti, sono tante le novità e le scoperte che accrescono o addirittura correggono le conoscenze di avvenimenti di rilievo della nostra storia con una ricostruzione sempre ricca di particolari.

Il primo volume dell’opera Risorgimento e masse contadine in Sicilia (1767-1860) trova valido appiglio nel 1767 quando il riformismo borbonico procede alla cacciata dei gesuiti dalla Sicilia nella prospettiva di distribuire ai contadini le terre loro confiscate, ma nell’Isola le regie direttive incontrano forti resistenze e in conclusione tutto rimane come prima: ai feudatari la terra, ai contadini il miraggio della terra.

Una storia destinata a ripetersi tante altre volte. Come già nel 1812 quando, con l’abolizione della feudalità, i feudatari ottennero la piena proprietà delle terre da loro già possedute, mentre nessuna norma venne prevista a sostegno dei contadini.

Una condizione illustrata nel secondo volume (Il miraggio della terra nella Sicilia post-risorgimentale) che resiste ancora dopo l’Unità d’Italia (1860), quando continuarono a mantenersi alcuni retaggi feudali e per i contadini il miraggio della terra doveva rimanere tale ancora per un secolo a venire. Tale condizione rimase inalterata, difatti, anche alla nascita dei Fasci dei lavoratori (1893) e dopo le lotte da loro intraprese per la distribuzione delle terre e la revisione dei patti agrari.

Fu una bruciante sconfitta che sfociò nella grande emigrazione alla fine dell’Ottocento verso le Americhe. Un fenomeno che spinge Oddo ad indagare sulle condizioni di vita degli emigrati siciliani, sul loro inserimento nel nuovo tessuto sociale, sui sodalizi sindacali da loro creati per la difesa dei diritti dei lavoratori e i loro rapporti con le organizzazioni italiane nelle lotte agrarie.
Nel terzo volume Dalla belle èpoche al fascismo (1894 – 1943), l’Autore illustra una appagante panoramica del “bel tempo che fu”, ma sul filo conduttore della sua storia fa emergere le contraddizioni, gli squilibri sociali e territoriali. Contesto che vede il riaffacciarsi del miraggio della terra nei nuovi scenari del Novecento con la nascita di nuove organizzazioni di ispirazione socialista e cattolica che ottennero alcuni miglioramenti dei patti agrari, ma nulla sulla colonizzazione delle terre incolte.

Bisognerà attendere la fine della prima guerra mondiale per vedere mutare la situazione allorquando i reduci, fieri del loro operato, ottennero la concessione per coltivare gli ex feudi incolti da loro occupati senza l’intermediazione dei gabelloti. Assegnazioni che tuttavia non scalfirono la mappatura della grande proprietà che sostanzialmente rimase invariata sotto il regime fascista. Conquiste pagate, peraltro, a caro prezzo con decine di morti tra gente inerme e, poi, sindacalisti e custodi della legalità uccisi da sicari mafiosi.

Da qui trova avvio la quarta e ultima parte: Dallo sbarco alleato alla scomparsa delle lucciole (1943-1969); intrigante riferimento a quei singolari insetti che, nella metafora di Pier Paolo Pasolini segnano, con la loro scomparsa, la crisi e poi la fine di quella civiltà contadina alla base delle lotte agrarie.

Il libro, dunque, narra 26 anni di storia del nostro recente passato. Si apre con la descrizione del devastante scenario della Sicilia sconvolta dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale. Una panoramica che, nel 1943, fotografa l’Isola sotto i bombardamenti delle forze anglo-americane che continueranno incessantemente fino al loro sbarco, causando distruzione in ogni parte.
Dai bombardamenti presto si passa alla guerra combattuta contro i tedeschi nei territori dell’Isola che, come sostiene Oddo, non fu una avanzata trionfale delle forze alleate, né ci furono agganci sistematici con la mafia. Fu una battaglia cruenta con molti centri urbani devastati, con carcasse di mezzi militari e ordigni bellici disseminati ovunque che causarono tantissimi incidenti mortali; notevole il versamento di sangue tra i militari ma anche tra le popolazioni rurali che subirono la violenza omicida dei tedeschi, degli americani, degli inglesi e persino dei carabinieri.

La guerra, dunque, lascia la Sicilia in condizioni disastrose, povera e depressa; nelle aree interne dell’Isola la distribuzione delle terre è quasi inesistente. I latifondi, a giusta ragione, si continuavano a chiamare feudi. Una realtà che nella gestione delle colture, specialmente cerealicole, tramandavano i secolari rapporti tra padroni, gabelloti e lavoratori della terra con la stipula di contratti agrari iniqui (mezzadria e terraggio) e in altri casi con l’utilizzo di manodopera bracciantile.

Erano queste le condizioni da cui si avviava la transizione dalla dittatura fascista all’affermarsi della libertà e della democrazia, con la società italiana in continua evoluzione. Sono di questo periodo l’istituzione della Regione Siciliana a statuto speciale (15 maggio 1946); la proclamazione della Repubblica Italiana (2 giugno 1946); la contemporanea formazione dei partiti politici e delle nuove organizzazioni sindacali (Camere del lavoro, Confederterra, Federbraccianti, Leghe contadine, etc.). Si andava affermando una nuova dialettica e sensibilità che portò il governo a prendere alcuni immediati provvedimenti per andare incontro ai lavoratori dei campi con l’istituzione dei “granai del popolo” (1944) e l’emanazione dei decreti Gullo (1944-!945). Questi provvedimenti prevedevano: la proroga dei contratti di affitto, di mezzadria e colonia parziaria; la concessione ai contadini delle terre incolte o scarsamente coltivate; il miglioramento della ripartizione dei prodotti nella mezzadria per il 60 % al contadino e il 40 % al proprietario.

Cambiamenti che in Sicilia si connettevano con problematiche vecchie e nuove e davano avvio ad un periodo assai arroventato. Tra le formazioni politiche vedevano la luce il movimento separatista; l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia (EVIS) e la Gioventù Rivoluzionaria per l’Indipendenza della Sicilia (GRIS). Contemporaneamente si assisteva allo svilupparsi del banditismo e della delinquenza; alla proclamazione di repubbliche locali; alla ricostituzione del blocco agrario-mafioso; alle rivolte per il lavoro e per la mancanza di cibo con il pane assegnato con la tessera, spia di un popolo affamato e impoverito. Fame e povertà che erano da imputare alla galoppante inflazione e ancora all’insuccesso dei granai del popolo che rimanevano semivuoti per il sistematico sabotaggio degli agrari. Contesto in cui speculatori e intrallazzisti si arricchivano con il proliferare del mercato nero del frumento e di altri prodotti di prima necessità (pane, pasta, olio).

È questo, d’altra parte, il momento in cui il movimento contadino trova la spinta per rivendicare l’applicazione di quanto stabilito con i decreti Gullo, ritrovandosi però a combattere con la forte resistenza degli agrari e dei gabelloti, spesso sostenuti dai carabinieri e decisi a non far passare alcuna riforma. I decreti, pertanto, trovavano sporadica applicazione. Una situazione che nel 1945 sfociava nella violenza mafiosa degli agrari contro i rappresentanti del movimento contadino, con il ricorso, nel 1947, in modo sistematico agli omicidi. Strategia che trova il momento più brutale e sanguinoso il 1° maggio nella strage di Portella della Ginestra, dove si trovavano i contadini di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato, San Cipirello e dei comuni del circondario per festeggiare la ricorrenza della Festa dei lavoratori.

La strage di Portella della Ginestra, però, non serve a fermare le lotte agrarie nell’Isola, nonostante la sconfitta del Fronte democratico popolare in occasione delle prime consultazioni per l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana (18 aprile 1948) e il sangue che continuava a scorrere. Intanto nel 1947, però, si registrava la promulgazione della Costituzione repubblicana (27 dicembre 1947) che legittimava l’attacco al latifondo, principio già presente, nello Statuto della Regione Siciliana.

La forza d’azione conseguita dal movimento per la terra dava la spinta a nuove iniziative: raduni con cavalcate; manifestazioni con cortei nei centri urbani e nelle campagne; occupazione di ex feudi; scioperi e scioperi alla rovescia. Una lotta molto aspra poiché dopo la sconfitta del Fronte era divenuta sistematica la repressione da parte delle forze dell’ordine di ogni manifestazione con fermi e arresti dei lavoratori, accusati di resistenza a pubblici ufficiali, turbamento dell’ordine pubblico, adunata sediziosa, violazione di domicilio. Atteggiamento in danno del movimento contadino che proseguì anche oltre l’approvazione della legge regionale sulla riforma agraria (n. 104 del 27 dicembre 1950), allorquando continuarono le occupazioni per le assegnazioni delle terre. In questo frangente si registrava la frenetica corsa degli agrari allo scorporamento dei loro possedimenti (vendite fittizie a prestanome e parenti, cessioni enfiteutiche) che la legge di riforma fissava nel limite di 200 ettari di estensione per singola proprietà terriera.

Riforma agraria che tuttavia non trovò applicazione per l’inerzia delle autorità competenti e per altre varie ragioni e difficoltà di interpretazione della legge che riuscì ad avviarsi soltanto in seguito alla convergenza di forze politiche e sindacali (ACLI, CGIL, CISL, UIL). Alla sua completa attuazione, lo smembramento del latifondo diede origine alla creazione della proprietà contadina che, considerando le alienazioni, raggiunse i 400.000 ettari e dai 140.000 a 150.000 beneficiari.

L’ERAS venne trasformato in Ente per lo Sviluppo Agricolo – ESA (1965) e si proponeva ambiziosi obiettivi: strade a servizio dell’agricoltura, dighe, ecc. Ma, nel contempo, la riforma agraria stentava ad andare avanti, persisteva un’agricoltura arretrata e le industrie dello zolfo attraversavano una profonda crisi; si fece strada, così, il sogno industriale che vide come d’incanto aprirsi una finestra su una nuova società diversa dalla civiltà contadina.

Le masse operaie e contadine cominciarono ad emigrare verso paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Svizzera) e, poi, in seguito al miracolo economico (1958 – 1963), verso le regioni del nord Italia, attratte dalle promesse di un reddito sicuro e una vita più dignitosa. La mafia spostava i suoi interessi verso l’imprenditoria; la società siciliana veniva attratta dai nuovi stili di vita urbana.
In questo scenario di rapidi cambiamenti, le lotte dei lavoratori per la rivendicazione dei propri diritti si intensificarono e gli obiettivi divennero più incisivi. Propositi che videro i momenti più significativi negli scioperi di Lentini (1966) e di Avola (1968), dove fu versato nuovo sangue; ma le trattative che vennero attivate si conclusero con la sconfitta degli agrari. Si ebbe, così, una svolta nell’emanazione di nuove leggi di tutela dei lavoratori e in primis prese vita lo statuto dei diritti dei lavoratori (1970).

È questa in sintesi la trama di quest’ultima parte dell’opera di Giuseppe Oddo. Pagine che come sempre sono caratterizzate da chiarezza espositiva e che sono costellate ancora di storie e microstorie e da una miriade di personaggi. Tra questi spiccano figure femminili come Antonietta Profita e Maria Domina di Castellana Sicula che si sono imposte da protagoniste nel movimento contadino. Con il suo ultimo volume lo scrittore consegna ai lettori e in particolare agli specialisti, uno spaccato esauriente di questo scorcio della storia sociale e civile della Sicilia. Una realtà ereditata dal ventennio fascista, culminata nella catastrofe bellica da cui, secondo Oddo, non si può prescindere per raccontare le lotte agrarie del secondo dopoguerra. Una narrazione sensibile agli aspetti antropologici della società siciliana di quegli anni; ovvero, per dirla con le parole del titolo di un suo precedente libro, mira alla riscoperta e alla valorizzazione di quelle Storie silenziose e quasi dimenticate di Sicilia. Storie «il cui rumore fu immenso e l’eco appena percepibile» con evidente richiamo a Fernand Braudel, fra gli autori preferiti da Oddo.

Con queste finalità l’Autore indaga nelle singole realtà locali per mostrare le reali condizioni di vita degli abitanti e da cui emerge lo stato di precarietà o di assoluta indigenza di larghi strati della popolazione, ai limiti della sussistenza. Dalle genti aggrottate del ragusano e dell’ennese, agli spigolatori che si muovevano con tutta la famiglia a bordo di un carretto, alle famiglie di contadini e pastori che in ogni angolo della Sicilia abitavano nei pagliai. Oddo traccia la storia e descrive la tipologia di queste misere abitazioni individuandone veri e propri agglomerati, racconta la vita misera dei contadini che nelle aree cerealicole erano soggiogati dai ricchi proprietari e dai gabelloti che si presentavano soltanto al momento della mietitura del grano accompagnati immancabilmente dai loro mafiosi campieri. E l’Autore non dimentica di parlare pure dei braccianti che nelle ore mattutine affollavano le piazze nella speranza che qualcuno li assumesse per una giornata di lavoro.

Uno studio di largo respiro dunque, che inquadra le lotte agrarie per la terra nel contesto delle vicende e della politica nazionale e ponendo altrettanta attenzione all’ambito internazionale. Oddo, con riferimenti molto dettagliati, illustra il dinamismo delle formazioni politiche e sindacali con particolare attenzione alle problematiche regionali della sinistra. Sindacalisti sensibili alle lotte per i diritti dei lavoratori che reclamavano la distribuzione delle terre e dei prodotti agricoli secondo quanto previsto dai decreti Gullo. Lotte contadine che ebbero come conseguenza l’assassinio di decine di sindacalisti da Andrea Raia ad Accursio Miraglia, da Placido Rizzotto a Salvatore Carnevale da parte dalla mafia connivente con i latifondisti. Un argomento caro all’Autore che non si limita ad una rassegna dei caduti. Egli indaga sui singoli casi narrando le vicende personali degli sfortunati protagonisti e inquadrando gli avvenimenti nei contesti locali con una descrizione dettagliata e con testimonianze raccolte tra persone che vissero quegli eventi. Riportando, talvolta, alla luce connessioni ed eventi finora sconosciuti.

In merito, è da ricordare l’assassinio di Ignazio Macaluso, il quale nelle funzioni di responsabile dell’ufficio comunale per gli accertamenti agricoli a Cefalà Diana, vigilando sull’obbligo dell’ammasso del grano, pagò con la vita la denuncia nei confronti del sindaco come il più grosso evasore locale. Ucciso nella piazza del paese alla presenza di altre persone, Oddo rileva l’imperante arroganza del tempo: l’atto di morte fu redatto un mese dopo gli avvenimenti e incredibilmente venne scritto che il decesso era avvenuto nella propria abitazione.

Un omicidio rimasto impunito come tanti altri, come nel caso di Cola Azoti di Baucina, tra i cui moventi c’era anche quello dell’intrallazzo del grano. Vicenda che viene maggiormente approfondita per la singolarità del contesto locale dove il movimento contadino si intreccia con il cattolicesimo sociale del primo Novecento e per l’eredità politica e morale lasciata da Azoti.

Sulla gestione dell’ammasso del grano ai granai del popolo, cui si è fatto cenno, l’Autore pone particolare attenzione nell’illustrare i vari contesti che si intrecciano con le questioni del lavoro agricolo. Evidenzia come l’evasione dall’obbligo dell’ammasso del grano faceva venire meno lo scopo per cui erano stati istituiti i granai del popolo e dava origine a un fiorente mercato nero del grano; individua, pertanto, le cause e le concause di tanti massacri.

Omicidi rimasti sempre impuniti per i depistaggi messi in atto in fase di indagini e che la narrazione, con una descrizione dettagliata, fa emergere con sconcertante evidenza; viene rilevato come sistematicamente mai si indagava sul movente politico, ovvero sull’attività sindacale dei morti. Caso eccezionale l’omicidio Carnevale che nonostante l’evidenzia dei fatti, si concluse con l’assoluzione degli imputati. Seppure individuati gli autori, infatti, questi vennero presto scagionati in fase di istruttoria per la complicità tra il gruppo agrario-mafioso con i comandi dei carabinieri, della polizia e settori della magistratura. Impressionante, ad esempio, quanto avvenne in seguito all’uccisione di Accursio Miraglia a Sciacca allorquando, caso eccezionale, i carabinieri individuarono gli esecutori che confessarono il delitto ma in seguito ritrattarono e la magistratura li rimise in libertà. Ad essere indagati per sevizie, al fine di estorcere le confessioni, furono i carabinieri e, in particolare, il colonnello che pagò l’abnegazione verso il dovere con la vita.

Sul filo conduttore dello studio che vede «ancora zolle insanguinate» nella lunga e travagliata attuazione della riforma agraria, Oddo fa emergere in maniera singolare come la questione agraria ad un certo punto, passi in secondo piano. La società siciliana è attratta dalla modernità, dal mito industriale e vuole fortemente dimenticare la miseria. Molti lavoratori, sollecitati dalla crisi che attraversano vari settori produttivi e dal permanere dello stato di precarietà nell’agricoltura, sono incoraggiati a emigrare all’estero e nel nord Italia, fenomeno che determina un massiccio abbandono delle campagne.

È questa la fine della lunga storia, durata oltre due secoli e dunque non soltanto di un’epoca che Oddo ci ha narrato e che, come recita l’Autore, «vede il miraggio della terra ben presto appannato dal fumo di un’immaginaria selva di ciminiere».

Adesso si fa strada fra la miseria una nuova visione della società che trova espressione nell’ultimo e ampio paragrafo del volume dedicato a Danilo Dolci. Personaggio, che pur estraneo al mondo rurale, è riuscito a sensibilizzare e coinvolgere nelle sue originali iniziative, personalità della cultura nazionale e internazionale. Battaglie da lui condotte o ispirate che trovano l’espressione più alta nella “marcia verso il mondo nuovo” e nella “marcia della miseria”, da cui Oddo prende spunto per arricchire e portare a termine la sua opera in modo originale.

In conclusione, con assoluta certezza si può affermare che con la pubblicazione di questi quattro volumi del prof. Giuseppe Oddo, la bibliografia storica sulla Sicilia si è arricchita di una notevole e preziosa fonte di informazioni per gli studiosi della materia.

Un’opera monumentale che il nostro illustre Autore considera il suo “testamento spirituale” e che racchiude la sua passione per la storia non fine a se stessa ed esprime «l’impellente desiderio di rendere omaggio alla cultura del popolo». Una fonte illuminante per trasmettere la memoria alle generazioni presenti e future, per raccontare la storia del nostro passato che ruota attorno alle condizioni dei contadini siciliani, per rendere omaggio al movimento contadino protagonista di innumerevoli e cruente lotte che videro numerosi uomini caduti per il riscatto sociale. Una lunga storia percorsa da sconfitte e da speranze ancorate al «miraggio della terra».