Rischio scarsità per l’acqua verde

L’acqua è una risorsa che fa parte di un ciclo: dallo stato liquido presente sulla superficie della Terra evapora, raggiungendo l’atmosfera, e ritorna alla superficie grazie alle precipitazioni. Ma la disponibilità di acqua dolce per le attività umane è limitata e può arrivare a scarseggiare in molte situazioni.

Questa scarsità riguarda non solo la cosiddetta acqua blu, cioè quella costituita dalle falde sotterranee, dai fiumi, dai laghi e da tutte le risorse idriche di superficie, ma anche l’acqua verde, ovvero quella intercettata dalle radici delle piante, che serve a formare biomassa e in parte viene reimmessa in atmosfera tramite la traspirazione delle piante. Lo ha dimostrato uno studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” da Joep Schyns dell’Università di Twente, nei Paesi Bassi, e colleghi di una collaborazione internazionale.

Questa nuova valutazione è molto importante perché convenzionalmente gli studi si concentrano sulle stime delle acque blu e sul loro sfruttamento da parte dei privati e delle attività agricole, di allevamento e industriali, perché la mancanza di questa risorsa metterebbe a rischio la loro redditività. Ma sono le acque verdi ad alimentare la maggior parte della produzione di legno, cibo e mangimi e bioenergia.

Dividendo la superficie terrestre in aree quadrate di dieci chilometri di lato, gli autori hanno calcolato il flusso di acqua verde destinato alle attività umane – flusso noto come impronta idrica verde – e poi l’hanno confrontato con le stime sulla disponibilità di questa risorsa, tenendo conto che essa in parte deve sostenere anche gli ecosistemi naturali.

Dall’analisi dei dati è emerso che globalmente la scarsità d’acqua verde, cioè il rapporto tra l’impronta idrica verde e l’impronta massima teoricamente sostenibile, che evita d’intaccare gli ecosistemi naturali, è di 0,56; ciò significa che lo sfruttamento è oltre la metà del valore sostenibile.

Dai dati disaggregati relativi alle realtà locali, invece, emerge che il limite massimo sostenibile è già stato raggiunto o superato in molte regioni in diversi paesi in Europa, America centrale, Medio Oriente e Asia meridionale. Ciò significa che in queste regioni, in cui vive circa il 18 per cento dell’umanità, corrispondente a più di 1,3 miliardi di persone, lo sfruttamento delle attività umane avviene a danno della biodiversità delle aree naturali.

Se si guarda in particolare all’Europa, si vede che per l’Italia la scarsità d’acqua verde è di 0,90 circa, al pari circa di Francia (0,91) e Spagna (0,93). Altre nazioni sono messe anche peggio, per esempio il Regno Unito, dove la scarsità arriva a 1,3 (l’impronta è cioè del 30 per cento superiore a quella massima sostenibile) o la Germania, dove la scarsità arriva a 1,8 o ancora i Paesi Bassi con 2,5. In Asia, si trovano valori più in linea con la media mondiale nel caso della Cina (0,65) e del Giappone (0,40). Negli Stati Uniti il valore stimato è di 0,71 e in Russia di 0,21.

Questa mappa globale dello sfruttamento dell’acqua verde, secondo gli autori, è fondamentale per poter effettuare valutazioni sulla scarsità delle risorse idriche complessive, sulla sicurezza degli approvvigionamenti di cibo e sul potenziale di produzione di bioenergia, tutti parametri che devono essere bilanciati da una consapevole conservazione della biodiversità.

Quello della Germania è un caso emblematico di come tutti questi fattori siano interconnessi. Per diventare leader europeo nella produzione di biocombustibile, la Germania ha riconvertito molti terreni agricoli alla coltivazione della colza, raggiungendo il limite massimo di sfruttamento delle praterie stabilito dai regolamenti comunitari europei. E questo processo d’intensificazione delle monocolture è indicato dagli studi come uno dei fattori responsabili di un forte declino degli insetti volanti nelle aree protette.

CREDIT: Le Scienze