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Si possono bruciare i residui di potatura

Una pratica agricola diffusa in molte aziende agricole, soprattutto in questo periodo, è rappresentata dalla bruciatura dei residui di potatura, soprattutto uliveti.

Bisogna subito precisare che i residui di potatura dell’olivo (come di qualunque altra coltura) non vengono compresi tra i prodotti che afferiscono alla gestione dei rifiuti previsa dal Testo Unico Ambientale.

Lo stesso Testo Unico chiarisce inoltre, che l’attività di raggruppamento e abbruciamento dei materiali vegetali (di cui all’articolo 185) in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a 3 metri cubi (steri) per ettaro, effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole.
Pertanto, è consentito bruciare i residui di potatura, purché questi siano raggruppati in piccoli cumuli. Il legislatore sottolinea inoltre, che l’agricoltore deve prestare attenzione affinché il fuoco non causi danni all’ambiente, alle cose o alle persone. Che quindi sia controllato e non possa dare luogo ad incendi, che non interessi abitazioni, autovetture o altri beni, né che possa nuocere alle persone.
Dunque l’agricoltore può bruciare i residui di potatura:

  • In misura uguale o inferiore a 3 metri cubi per ettaro al giorno.
  • Nel luogo di produzione, quindi in campo.
  • Prestando attenzione a non nuocere a cose o persone.
  • Nel rispetto delle disposizioni regionali, provinciali e comunali.

Altra possibilità è legata all’uso di biotrituratori meccanici. In questo caso le ramaglie, avvicinate in un punto più facilmente raggiungibile, e a seconda delle apparecchiature, possono essere sminuzzate in particelle che possono essere poi usate per operazioni di pacciamatura.

In questo caso, similmente al secondo, si annullano i rischi del fuoco e quelli dell’inquinamento atmosferico, pratica che viene svolta anche in conto terzi.

Una quarta possibilità, più complessa, ma non per questo meno interessante, è quella di provare a facilitare meccanismi di coordinamento che possono valorizzare la ramaglia a fini energetici tramite pratiche di gassificazione o biogeneratori.

Ritornando alle varie normative territoriali, si riporta quella della Regionale siciliana.

Con l’emanazione del Decreto Legislativo n. 205 del 03/12/2010, che ha recepito la nuova normativa europea sui rifiuti (Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo) e che ha pertanto modificato le precedenti norme contenute nella parte quarta del Codice dell’Ambiente (Decreto Legislativo n. 152 del 03/04/06), cambia la modalità con cui vengono considerati i residui delle colture agricole, chiarendo il campo di applicazione della normativa sui rifiuti stessi.

L’art. 13 della nuova normativa, riscrivendo e sostituendo l’art. 185 del Codice dell’Ambiente, indica tra le categorie escluse dal campo di applicazione del decreto “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Risulterà di conseguenza esclusa la possibilità della combustione dei residui colturali senza relativa produzione di energia, attività che si configura quindi come smaltimento di rifiuti agricoli sottoposti alla parte quarta del Codice dell’Ambiente, e pertanto sanzionabile ai sensi dell’art. 256 dello stesso Codice.
In base al comma 7 dell’art. 1, la Regione Siciliana, così come le altre regioni e province autonome, avrà un anno di tempo per recepire il nuovo decreto ed adeguare la normativa regionale.

Conseguenze per le attività agricole
Già la precedente normativa configurava come problematica l’attività di combustione dei residui colturali, indicando ad esempio il divieto di bruciatura delle stoppie nelle Norme sulla Condizionalità della Politica agricola Comunitaria, tuttavia la legislazione lasciava spazio ad indicazioni in senso contrario, quali ad esempio il D.P.R. n. 297 del 04/06/2008 in materia di fuochi controllati in agricoltura.

La pratica di bruciare i residui colturali è tuttora ampiamente diffusa non solo per la velocità con cui si consegue l’eliminazione dei rifiuti agricoli, ma anche per alcuni vantaggi che la pratica comporta, come la riduzione del carico di erbe infestanti e delle avversità biotiche (ad es. mal del piede del frumento, mal secco del limone, fleotribo dell’olivo) sui terreni interessati.

Gli aspetti negativi della combustione superano però ampiamente quelli positivi:

  • pericolo di propagazione accidentale del fuoco;
  • produzione di inquinanti in atmosfera (anche a causa delle basse temperature a cui spesso avviene la combustione, specie su materiale umido) tra i quali polveri sottili (“black carbon”, particelle carboniose, e “brown carbon”, composti organici sotto forma di aerosol), metano, ossidi di azoto, anidride solforosa;
  • distruzione e perdita dei composti azotati contenuti nei residui colturali, trasformati in azoto molecolare e ossidi;
  • distruzione e perdita della sostanza organica;
  • dissipazione di energia termica;
  • danneggiamento della struttura e della flora microbica del suolo, distruzione della sostanza organica e dell’entomofauna utile nello strato superficiale del suolo.

Gli imprenditori agricoli sono pertanto chiamati allo sforzo di modificare la gestione dei propri residui colturali, adottando pratiche che peraltro sono già diffusamente utilizzate in molte aziende, con elevati benefici per i suoli.

Le opzioni a disposizione degli agricoltori sono fondamentalmente tre:

  • trinciatura e interramento totale o parziale;
  • compostaggio;
  • raccolta e valorizzazione energetica (caldaie e centrali a biomasse, biogas, syngas).

I vantaggi per il suolo e per il clima

La restituzione al suolo dei residui colturali mediante il loro interramento o mediante l’apporto del compost prodotto produce vantaggi sotto diversi punti di vista:

  • apporto nutritivo di tutti gli elementi contenuti nella biomassa, compreso l’azoto, altrimenti perso con la combustione;
  • aumento del tenore di sostanza organica dei suoli, con miglioramento della capacità di ritenzione idrica, aumento dell’attività microbiologica, miglioramento dell’efficienza nell’uso dei fertilizzanti.

Un vantaggio fondamentale risulta nella immobilizzazione del carbonio incorporato nel suolo, riducendo di conseguenza le emissioni di CO2 del settore agricolo e contribuendo alla mitigazione dei cambiamenti climatici.

Anche se una parte rilevante del carbonio contenuto nella biomassa iniziale viene comunque trasformato in CO2 per mineralizzazione, la restituzione al terreno invece della bruciatura determina un aumento della durata di vita del carbonio sotto forma organica ed una parziale trasformazione in molecole umiche e composti organo-minerali relativamente stabili.

Prendendo ad es. un campo di frumento duro con una produzione di 25 q.li/ha, si può stimare la produzione di paglie pari a circa la stessa quantità della granella.

Il contenuto di carbonio è pari a circa il 44% della sostanza secca, pari quindi a circa 1 t di carbonio/ha, equivalenti quindi a circa 3,6 t CO2/ha. Una quantità notevole che con la bruciatura delle stoppie passerebbe direttamente in atmosfera e che incorporata nel suolo viene invece bloccata per una parte significativa.