Economia e Lavoro

Il castello di Calatamauro (Contessa Entellina), il trekking delle aree rurali

C’è ancora una parte della Sicilia da scoprire, che resiste al mutare dei tempi, perché tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazioni, e che oggi, vuole ritagliarsi una nicchia di mercato, pro­muovendo un turismo alternativo, in grado di creare le condizioni per uno sviluppo duratu­ro e possibile.

I monti Sicani, giogaie montuose che s’in­nalzano nel cielo dal fiume Platani al fiume Belice, scrigno di tante ricchezze paesistiche, culturali, folkloristiche, monumentali, si pro­pongono come luogo d’attrazione di un turismo specificatamente culturale o per gli amanti del trekking. Tra queste emergenze vi segna­liamo di visitare il castello di Calatamauro a pochi chilometri da Contessa Entellina. Naturalmente, occorre la massi­ma prudenza, in quanto il manie­ro, è difficoltoso raggiungerlo, per l’assenza di stradelle che por­tano in cima. Pur tuttavia, seguite il camminamento delle vacche, che di sicuro vi indicheranno la strada più semplice per arrivare alla cima, da queste parti è sempre valido il detto: trappiatini di vacchi portami ‘ncelu. (Orme di mucche portano in cielo). Provare per credere! Chi provie­ne da Palermo può arrivare sul luogo dallo scorrimento veloce Palermo – Sciacca, svincolo Contessa Entellina, oppure si consiglia di arrivare a Bisacquino e seguire il tratto viario che dal bivio di Catrini, territorio dello stesso comune, conduce a Sambuca di Sicilia. A metà per­corso sarà facile scorgere il maniero appollaiato su di un iso­lato colle posto sul lato destro dell’incrocio che porta a Contessa Entellina, Sambuca di Sicilia e Santa Margherita Belice. La collina è ubicata difronte la Riserva Orientata di Monte Genuardo – S. Maria del Bosco, pertanto, la visita potrà compren­dere anche un giro all’interno dell’oasi naturale. Il castello è posizionato su di una vetta, a base triangolare, la cui sommità raggiunge i 763 m s. 1. m„ dominante da nord a sud l’in­tera Valle del Belice sino al mare Mediterraneo. Proprio questa posizione, molto presumibilmen­te, spinse i bizantini ad edificare un fortilizio in grado di trasmette­re, attraverso segnali visivi, even­tuali presenze estranee che potes­sero turbare la loro sicurezza. La rocca è praticamente inacces­sibile e ciò ne impediva una faci­le conquista da parte dei nemici. In virtù di questa ubicazione stra­tegica sicuramente la roccaforte, in passato, ha incuto timore e rispetto. L’esistenza del maniero nel periodo bizantino è dimostra­to da una cronaca araba, riportata dall’Amari. Lo storico, riprendendo una annotazione dell’Idrisi, afferma che il castello di Calatamauro negli anni 834-40 veniva conquistato dai musulma­ni insieme ad altre fortezze del Val di Mazara. (Amari 1880-81 I, pag. 193).

Il toponimo permette di supporre fosse un luogo sicuro, con fun­zioni di rifugio temporaneo (Maurici 1992 pp. 129-130). Di sicuro gli Arabi, una volta con­quistato il castello, l’avranno modificato e rafforzato e natural­mente attribuito un nuovo nome. Alcuni storici, tra i quali, Fazello e Rocco Pirri, attribuiscono la costruzione della fortezza ai musulmani, e ciò perché non erano in possesso della documen­tazione dell’Amari ritrovata sola­mente nel secolo scorso. L’Amari indica il castello con il nome di Qualat Mavrù, cioè Rocca del Moro, in seguito trasformato in Calatamauro.

Il Fazello rifacendosi a Decane, afferma che nelle vicinanze del castello era presente un sobborgo costruito dalla comunità musul­mana. Gli arabi lo tennero fino alla successiva età normanna-sveva, quando furono costretti dall’Imperatore Federico II ad abbandonare l’antico territorio sicano, essendo stati deportati nel 1225 e nel 1246 a Lucerà, in Puglia. Secondo il Maurici “il castello è stato utilizzato dalle truppe imperiali come base per la lotta contro i musulmani in rivol­ta a Entella”. Non a caso il castel­lo è incluso tra la lista dei castel­li dei castra exmpta di Federico II, infatti è da supporre che la pre­senza di una grande cisterna sia da collegare alla forte concentra­zione di militari all’interno del maniero. All’indomani dell’in­surrezione popolare del Vespro (1282) Saba Malaspina racconta che un tale Bonifazio, eletto capi­tano del popolo, con 3000 uomi­ni, dopo avere trucidato il Maestro giustiziere fido del re, rincorsero per tutto il territorio corleonese gli infidi angioini i quali trovarono rifugio in un certo castello”. Dalla disamina degli eventi e dalla posizione dei luoghi, molti storici hanno desunto che “un certo castello” possa trattarsi del castello di Calatamauro. Infatti, era all’epoca l’unica fortezza in grado di assicurare l’ine­spugnabilità. A dimostrazione di ciò dai Capitoli della Confederazione sancita tra le città di Corleone e Palermo, datata 3 aprile XV Indizione 1282, notar Benedetto Clerico di Palermo, fu concordata la priorità di distruzione del castello di Calatamauro. Pare che in quella occasione il castello fu total­mente distrutto; infatti nella descrizione di Vito Amico, si riferisce il fortilizio come “momentaneamente deserto con le fabbriche che conservano i tetti”. Nel 1745 l’avv. Giuseppe Foresta, incaricato dal gran Contestabile Fabrizio Colonna ad effettuare una stima dei beni di detta fami­glia, descrivendo l’antico maniero dice: “Visitai la montagna ov’è situato l’antico castello di Calatamauro fabbricato dai sara­ceni più di 1000 anni addietro ed ancora esi­stono alcune muraglia antiche che denotano la magnificenza e la fortezza di quelle fab­briche”.

L’intera area è stata da sempre oggetto di interesse dalle popolazioni domi­natrici, sia per la ricchezza del territorio, sia per la centralità. Ai piedi del monte, in una località detta Scirotta, l’Amico riferisce d’a­vere rinvenuto “sepolcri in muratura, mone­te, lucerne e vasi di terra cotta inverniciati ed eleganti figurine, uno dei quali, a forma di un piccolo fiasco, di una vernice lucentissima a color fulvo” che furono consegnati al barone Mulè. Sotto il governo degli Aragonesi il castello ed il territorio circostante furono elevati a Baronia, a totale appan­naggio della famiglia reale. L’insegna dei baroni di Calatamauro era un’aquila in campo d’oro come discendenti dei Re di Francia e di Aragona. La baronia di Calatamauro com­prendeva un vasto territorio che si estendeva ad ovest sino a Contessa ed al feudo di Entella, a sud fino al castello di Zabut, mas­seria detta di Chiappardu (testa­mento di Nicolò Peralta 16 otto­bre 1398 voi. 2 archivio famiglia Rospigliosi) e ad est fino ai terri­tori di Chiusa e Giuliana. Gran parte del territorio di Calatamauro era coperto da un folto bosco dell’estensione di 875 salme, pari a 1529.67.87 ettari, che, nel suo punto più alto, raggiungeva la cima di monte Genuardo (1179,37 m s.l.m). Il castello occupa l’intera superfi­cie del pianoro, di circa 1000 quadrati; presenta una forma simile ad un rombo con gli estre­mi che guadano a nord est e sud ovest.

L’ingresso del castello è posto ad est in quanto gli altri lati sono tutti scoscesi. I muri perimetrali raggiungono lo spessore di 1,10 m.; sono caratterizzati da una tec­nica costruttiva piuttosto irrego­lare, con l’impiego di pietre non lavorate di diversa grandezza cementati da una abbondante malta da cui fuoriescono fram­menti di tegola. Le fondazioni si trovano in condizioni precarie, a causa del fenomeno di erosione, ed è facile intravedere, in diversi punti, la base dei muri perimetra­li che si legano alla roccia della collina.

Una parte di edificio ancora rela­tivamente efficiente è situata nella zona nord-est ed il cui uso potrebbe essere stato quello di scuderia. La cinta interna eviden­zia, inoltre, una feritoia e una finestra ad un’altezza di 9 metri. Nel lato sud-ovest si notano i resti di una struttura molto stretta che potrebbe essere stata una torre. Non manca, come in tutti i castelli arabi, la cisterna sotterra­nea, per sottrarsi ad eventuali pericoli di lunghi assedi. La struttura, da un primo esame, pare, che si sviluppi in una dop­pia elevazione, un rocca che è stata da richiamo per tutti i dominatori che si sono suc­ceduti nell’isola.