Mangiare meno carne per salvare il pianeta

Una radicale modifica dei regimi alimentari, con una sostanziale riduzione del consumo di carni, deve essere parte integrante dell’impegno contro la crisi climatica: a sostenerlo è l’ultimo rapporto dell’IPCC su clima e suolo.

Gli sforzi per contenere le emissioni di gas serra e l’impatto del riscaldamento globale saranno largamente insufficienti se non comprenderanno drastici cambiamenti nell’uso globale del suolo, nell’agricoltura e nella dieta degli esseri umani, avvertono alcuni ricercatori di spicco in un importante rapporto commissionato dalle Nazioni Unite.

Il Rapporto speciale su clima e suolo dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) indica le diete basate sul consumo di vegetali come un’importante opportunità per mitigare i cambiamenti climatici e adattarsi a essi, e include una raccomandazione politica per la riduzione del consumo di carne.

L’8 agosto, l’IPCC ha pubblicato una sintesi del rapporto, destinato a fornire una base di informazioni per i prossimi negoziati sul clima nel contesto dell’aggravarsi della crisi climatica globale. La compilazione del rapporto ha visto impegnato negli ultimi mesi più di 100 esperti, circa metà dei quali proviene da paesi in via di sviluppo.

“Non vogliamo dire alla gente cosa mangiare”, afferma Hans-Otto Pörtner, ecologo e codirettore del gruppo di lavoro dell’IPCC su impatti, adattamento e vulnerabilità. “Ma sarebbe davvero utile, sia per il clima sia per la salute umana, se le persone di molti paesi ricchi consumassero meno carne e se i politici creassero incentivi adeguati in questo senso”.

I ricercatori sottolineano anche la rilevanza data dal rapporto alle foreste pluviali tropicali, poiché crescono i timori per l’accelerazione dei tassi di deforestazione. Le foreste pluviali amazzoniche sono un enorme pozzo di carbonio che agisce abbassando la temperatura globale, ma i tassi di deforestazione sono in aumento, in parte a causa delle politiche e delle azioni del governo del presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Se non fosse fermata, la deforestazione potrebbe trasformare gran parte delle restanti foreste amazzoniche in un deserto degradato, rilasciando nell’atmosfera più di 50 miliardi di tonnellate di carbonio in 30-50 anni, afferma Carlos Nobre, climatologo dell’Università di San Paolo, in Brasile. “È molto preoccupante”, dice.

Deforestazione in Amazzonia per lasciare spazio al pascolo del bestiame

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sfortunatamente, alcuni paesi non sembrano capire l’estrema necessità di fermare la deforestazione nei tropici”, afferma Pörtner. “Non possiamo obbligare alcun governo a interferire. Ma speriamo che il nostro rapporto influenzerà sufficientemente l’opinione pubblica a tal fine”.

Gli obiettivi di Parigi

Anche se il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia e per i trasporti attira maggiormente l’attenzione, le attività legate alla gestione del territorio, tra cui l’agricoltura e la silvicoltura, producono quasi un quarto dei gas che intrappolano il calore. La corsa per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali – obiettivo dell’accordo internazionale di Parigi sul clima del 2015 – potrebbe essere una battaglia persa se il suolo non sarà utilizzato in modo più sostenibile e rispettoso del clima, sostiene l’ultimo rapporto dell’IPCC.

Il rapporto sottolinea la necessità di preservare e ripristinare le foreste, che assorbono il carbonio dall’aria, e le torbiere, che rilasciano carbonio se vengono sfruttate. Il bestiame allevato in pascoli ottenuti da aree disboscate è a intensità di emissioni particolarmente alta, afferma. Questa pratica si accompagna spesso alla deforestazione su larga scala, come in Brasile o in Colombia. Inoltre, digerendo il cibo le mucche producono una grande quantità di metano.

Il rapporto afferma con elevato grado di sicurezza che le diete bilanciate a base di alimenti di origine vegetale e di origine animale prodotti in modo sostenibile “presentano importanti opportunità di adattamento e mitigazione, producendo al tempo stesso significativi vantaggi per la salute umana”.

Entro il 2050, i cambiamenti di regime alimentare potrebbero liberare milioni di chilometri quadrati di terreno e ridurre le emissioni globali di CO2 fino a otto miliardi di tonnellate all’anno, secondo gli scienziati.

L’impatto ambientale della produzione di alimenti

“È davvero entusiasmante che l’IPCC stia diffondendo un messaggio così forte”, afferma Ruth Richardson, direttore esecutivo della Global Alliance for the Future of Food, una coalizione di associazioni filantropiche. “Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale, non di piccoli cambiamenti, verso un uso globale dei terreni e un sistema alimentare che soddisfi le nostre esigenze climatiche”.

Una gestione attenta

Il rapporto avverte che per nutrire una popolazione mondiale in aumento i terreni devono rimanere produttivi. Il riscaldamento migliora la crescita delle piante in alcune regioni, ma in altre – tra cui l’Eurasia settentrionale, parti del Nord America, dell’Asia centrale e dell’Africa tropicale – l’aumento dello stress idrico sembra ridurre il tasso di fotosintesi. Pertanto, afferma il documento, l’uso di colture per biocarburanti e la creazione di nuove foreste – viste come misure che potrebbero potenzialmente mitigare il riscaldamento globale – devono essere attentamente gestiti per evitare il rischio di carenza di cibo e perdita di biodiversità.

Gli agricoltori e le comunità di tutto il mondo devono anche fare i conti con piogge più intense, inondazioni e siccità derivanti dai cambiamenti climatici, avverte l’IPCC. Il degrado del suolo e i deserti in espansione minacciano di compromettere la sicurezza alimentare, aumentare la povertà e spingere all’emigrazione, afferma il rapporto.

Circa un quarto della superficie delle terre emerse del globo sembra già subire un degrado del suolo – e si prevede che i cambiamenti climatici peggioreranno le cose, in particolare nelle zone costiere basse, nei delta fluviali, nelle terre aride e nelle aree di permafrost. Inoltre, in alcune regioni l’aumento del livello del mare va a sommarsi all’erosione costiera, afferma il rapporto.

L’agricoltura industriale è responsabili di gran parte dell’erosione del suolo e dell’inquinamento osservati, dice Andre Laperrière, direttore esecutivo di Global Open Data for Agriculture and Nutrition, con sede a Oxford, nel Regno Unito, un’iniziativa per rendere accessibili in tutto il mondo le informazioni scientifiche rilevanti.

Il rapporto potrebbe fornire un invito all’azione assolutamente necessario e autorevole, afferma Laperrière. “Il più grande ostacolo che dobbiamo affrontare è cercare di insegnare a circa mezzo miliardo di agricoltori in tutto il mondo a rielaborare il loro modello di coltivazione in modo che sia a basse emissioni di carbonio”.

Anche Nobre spera che la voce dell’IPCC darà maggiore risalto alle questioni relative all’uso del suolo nei prossimi colloqui sul clima. “Penso che le implicazioni politiche del rapporto avranno effetti positivi poiché spingeranno tutti i paesi tropicali a mirare alla riduzione dei tassi di deforestazione”, dice.

Valutazioni regolari

Dal 1990, l’IPCC valuta con regolarità la letteratura scientifica, producendo rapporti completi ogni sei anni e, a intervalli irregolari, rapporti speciali su aspetti specifici dei cambiamenti climatici, come quelli di oggi.

Un rapporto speciale pubblicato lo scorso anno ha concluso che le emissioni globali di gas serra, che hanno toccato il massimo storico di oltre 37 miliardi di tonnellate nel 2018, devono diminuire drasticamente nel prossimo futuro per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, e che ciò richiederà interventi drastici senza ulteriori rinvii. Il prossimo rapporto speciale dell’IPCC, dedicato all’oceano e alle calotte glaciali in un clima che cambia, è previsto per il mese prossimo.

I governi di tutto il mondo prenderanno in considerazione le ultime scoperte dell’IPCC al vertice delle Nazioni Unite sul clima il prossimo mese a New York. La prossima tornata di colloqui sul clima tra le parti dell’accordo di Parigi avrà luogo a dicembre a Santiago del Cile.

António Guterres, segretario delle Nazioni Unite per il clima, ha dichiarato la scorsa settimana che è “assolutamente essenziale” attuare quell’accordo storico e “farlo con maggiore ambizione. Dobbiamo integrare i rischi dei cambiamenti climatici in tutte le decisioni”, ha affermato. “Per questo sto dicendo ai leader di non venire al vertice con dei bei discorsi”.

Credit: Le Scienze