Sfincione fest di Bagheria un successo, oltre 25 mila le presenze

Nonostante la pioggia, che ad intermittenza ha accompagnato le due giornate dello “Sfincione fest di Bagheria 2019”, non ha scoraggiato la presenza degli oltre 25mila appassionati del prodotto bandiera della “Piana d’Oro” che hanno preso d’assalto gli stand dei panficatori del villaggio gastronomico.

Gli organizzatori dell’associazione bagherese “La Piana d’Oro”, costituita dal presidente Michele Balistreri insieme a Adalberto Catanzaro, Francesco Gurrado, e Rossella Scannavino, dell’Amministrazione comunale, dei panificatori, possono sentirsi più che soddisfatti per la riuscita della manifestazione.

Lo sfincione bianco bagherese oltre ad essere “cocci di cultura ritrovata” costituisce l’elemento identitario e di aggregazione dell’intera comunità.
Questa identità ha favorito, nel tempo, il consumo dello sfincione che da anni è uscito dal calendario liturgico ed entrato nelle logiche festaiole per essere prodotto e consumato quotidianamente.

Questo successo ha determinato la creazione di un presidio Slow food e l’attivazione delle procedure per chiedere il riconoscimento europeo della Dop.

Tutti gli appuntamenti culturali e gastronomici della manifestazione sono stati tutti apprezzati compresi gli show cooking e le manifestazioni di intrattenimento musicale.

La chiusura della manifestazione, affidata a Sasà Selvaggio, è stata un’abbondante ora piena di risate e allegria.

La manifestazione premia lo sfincione bianco di Bagheria identificandolo come aristocratico e gourmet.

E’ aristocratico per “l’assenza del pomodoro, per il fatto che sprigiona profumi di Francia attraverso la classica “cipollata”, perchè ci rimanda alle creazioni dei Monsù, quelle prestigiose torte salate a base di tuma e ricotta, presenti nei ricettari dell’ Ottocento e del Settecento, ma anche per l’unicità di questo piatto che non ha eguali in tutta la Sicilia”.

Lo sfincione bianco bagherese è anche “gourmet perché appartiene ad una cucina dai modi e per palati raffinati, soprattutto quando impiega prodotti gastronomici di prima qualità, d’eccellenza, spesso a denominazione controllata e protetta. Uno sfincione curato alla massima presentazione estetica, in sintonia con palati che cercano la massima soddisfazione combinando gusti genuini, particolari e ricercati”.

Sfincione aristocratico e gourmet, ma con una storia. A ricordare questo ultimo aspetto è la forma sferica che ricorda le kollura di origine greche e le torte salate dei Monsù.

Il Duca Alberto Denti di Piraino nel suo libro “Siciliani a tavola” evidenzia inoltre una ricetta di sfincione meno popolana e più aristocratica delle case private, rispettose delle tradizioni culinarie bagherese, che si prepara a Palermo e che viene detto di S. Vito, la cui origine viene attribuita alle suore del monastero di San Vito a Palermo una struttura edificata nel 1630 per volontà del benefattore Cav. Gjaimo Zummo concedendolo alle suore francescane del Terz’ordine, legate ad una rigidissima regola monastica.

Quindi alla versione popolana di sfincione, scarsu d’ogghiu e chinu di pruvuazzu, si contrapponeva uno di origine aristocratico, sfincione che la nobiltà palermitana ha sicuramente trasferito nella Piana della nobiliare Bagheria (luogo di villeggiatura del periodo fine Ottocento e inizio del Novecento), proprio in quelle terre dove la magnificenza dell’aristocrazia si è consolidata e affermata portandosi appresso dalla capitale gusti e stili architettonici.

Quindi, lo sfincione di Bagheria non è assolutamente una variante di quello palermitano, ma ha una sua propria identità e storia, completo di tutti i crismi dell’originalità, in quanto conserva le modalità di preparazione analoghi a quelli della cultura aristocratica.

Comunque, attenti a declassarlo come alimento di Street food, si farebbe un grave errore gastronomico e proseguire con la valorizzazione e la promozione anche perché i risultai finora raggiunti sono lusinghieri e lasciano molte prospettive di successo.