Sicilia Agricoltura premia il borgo di Marcatobianco di Castronovo di Sicilia
Màrcatobianco è uno dei borghi meno popolati della Sicilia, nonostante ciò custodisce una cultura rurale davvero singolare. Tranquillità, natura e riscoperta di ritmi di vita dimenticati, rendono il piccolo borgo una destinazione obbligata per chi vuole fuggire dal caos cittadino. E’ il luogo ideale per fare turismo esperenziale e sostenibile, dove la vita è ancora scandita dai cicli della natura.
Sicilia Agricoltura ha voluto premiare l’associazione “SiAmo Màrcatobianco” presieduta da Filippa Tripi, donna intelligente, caparbia, combattiva e con una spiccata personalità, poiché costituisce l’unica aggregazione giuridicamente presente.
La motivazione della scelta di Marcatobianco è dovuta alla capacità d’avere saputo mantenere nel tempo una forte identità e tradizione silvopastorale, elementi che hanno consentito il successo aggregativo.
Questa piccola comunità è veramente meritevole di attenzione, poiché, nonostante il cambiamento dei tempi, sopravvive con la sua economia pastorale, mantenendo inalterato, come un tempo, il legame famiglia e attività agricola. E’ superfluo ricordare come questa condizione costituisca, di fatto, un elemento fondamentale per una prospettiva turistica di ospitalità rurale diffusa nel rispetto della tradizione.
Al riguardo insistono dei punti vendita dei prodotti locali e di piccola ristorazione.
Poche famiglie ma tutte ben salde, dove ancora predomina la semplicità, lo spirito di devozione, dove ogni componente familiare svolge il proprio ruolo in sintonia con gli altri e dove nonostante la mutazione dei tempi e la globalizzazione la loro identità non è stata minimamente scalfita.
Oggi questa ruralità così radicata, corrisponde a modernità, in linea con lo spirito della politica europea (Green Deal) e costituisce un esempio unico nel panorama europeo.
La Storia
Màrcatobianco, nonostante situato a ridosso del centro abitato del comune di Alia, fa parte del territorio di Castronovo di Sicilia (Pa), di cui dista 11,42 chilometri.
La frazione o località di Màrcatobianco, conta 113 abitanti e si trova a 645 m s.l.m.
L’antropizzazione del feudo si fa risalire agli inizi del primo secolo, infatti, nei pressi dell’attuale centro abitato, dall’esame di un enorme materiale fittile, è possibile risalire alla presenza di una fattoria romana.
Nei primi dell’XI secolo Màrcatobianco era chiamato feudo di Bonifato, feudum Bonifato, sembra, infatti, che tale nome derivi dal Gaito, Aly-El-Bonìfati, che esercitava nell’intero territorio aliese il ruolo di governatore locale con il compito di riscuotere le tasse e praticare la giustizia.
Il primo riferimento storico del casale “Bonifato”, oggi Màrcatobianco ci perviene da un documento del 1176 e nel 1396 è registrato come feudo. Successivamente, finita la dominazione musulmana, il feudo di Bonifato fu sostituito con il nome Màrcatu Blancu; sembrerebbe che la denominazione Marcatu, derivi dal luogo dove venivano ammassati gli animali per la pratica di mungitura e ricovero, mentre la seconda parte del nome, cioè Blancu, dal colore chiaro dei terreni diffusi nel medesimo territorio. E’ da ritenere, che Blancu possa intendersi anche, come la concessione a titolo gratuito dell’utilizzo del Màrcatu del signore locale.
La Magna Via Francigena
Per il Prof. Giuseppe Allorta, “Una diramazione della via Aurelia acquisì importanza a tal punto da essere denominata magna via Francigena Castrinovi”, come attesta un documento del 1096. Il diploma fu emesso da Ruggero il granconte allo scopo di definire l’immenso territorio della diocesi di Messina. La linea di confine iniziava dalla valle di Agrò, nell’area di Taormina, risaliva lungo lo Ionio verso Messina, girava sul Tirreno e avanzava fino alla foce del fiume Torto. Il confine, quindi, (nella toponomastica siciliana del 1290, in latino volgare, si parla di “Vallo Palombo”, la descrizione del luogo, che risulta” intersecato dal Fiume Torto presso il quale passa la Magna Via Francigena che da Termini Imerese porta a Castronovo di Sicilia e quindi a Monte S. Pietro proseguendo per Troina”. “Raggiunta la sorgente del Torto, che si trovano nei pressi dell’odierna stazione ferroviaria di Valledolmo, il confine seguiva per un tratto la «magnam viam Francigenam Castrinovi» e poi proseguiva verso il «montem S. Petri» (forse cozzo S. Pietro (m 834), a sud-ovest di Gangi) e, toccando altre località, si chiudeva infine alla valle d’Agrò «unde initium factum est”.
La Magna via Francigena ancora oggi si può individuare lungo il corso del fiume Torto, fino a lambire Roccapalumba “Valle del Palumo”, quindi, penetra nell’attuale centro abitato di Lercara Freddi) dal bivio di Portella Scannata, nel territorio di (Lercara Friddi) e dopo avere attraversato il centro abitato si dirige verso la polveriera militare per arrivare alla località di S, Pietro indicata come “Stazione Comiciana” del percorso di Antonino per poi proseguire per il bivio dell’attuale Tumarrano. Il percorso stradale si snoda a oriente e, costeggiando il fiume Torto e la linea ferroviaria (Termini-Caltanissetta-Enna), raggiunge prima la stazione di Màrcatobianco, poi quella di Valledolmo e successivamente incrocia l’odierna SS. 121. Da qui all’altra statale – la S.S. 120 – la strada è identificata con la sigla S.P. 8, la quale segue il percorso per Magazzinazzo, Valledolmo (m. 769), Portella Campanaro (m 903), Portella Mangiante (m 871), masseria Mandragiumenta (m. 806), e perviene al quadrivium, oggi noto come quadrivio di Brignòli, per la vicinanza con la masseria omonima. Dal quadrivium, la S.P. 8 curvando a destra, in direzione nord-est, raggiunge l’odierna SS. 120 (attraversava le contrada Ciarmaritaro e Fontana Murata luoghi risalenti al periodo Bizantino) al bivio detto di Valledolmo (m 685), che si trova nel territorio di Caltavuturo, ad un km dal centro abitato. Da questo punto, il pellegrino, attraverso Caltavuturo, Collesano e Gratteri, poteva raggiungere la Messina-Palermo per le marine a Cefalù, mentre, in alternativa, poteva proseguire sulla Palermo-Messina per le montagne, verso Polizzi, Petralia, Gangi, Nicosia, Troina, Randazzo, Taormina, Messina. Ad affermare dell’esistenza della Via Francigena esistono altri due documenti il primo di Pirro (vedi Sic. Sacr. Ad magnam viam frangigenam Castrinovi, pag. 383) e l’altro un Diploma Greco del 1094 (Storia dei Musulmani, vol. III, pag. 339, 441) che entrambi asseriscono l’esistenza della Via Francigena percorso “di origine Bizantino, quella che tennero i Normanni addentandosi nel cuor dell’Isola, e ch’essi racconciarono o prolungarono dopo Petraia o Castronovo per farne linea di separazione sopra Palermo”. Questo quadrivium è documentato in un diploma greco del 1132 che Giuseppe Spata pubblica assieme ad una traduzione latina del XII sec. Con questo diploma re Ruggero edificava il duomo di Cefalù, lo istituiva a cattedra vescovile e descriveva i confini della nuova diocesi cefaludese, cfr. G. SPA- TA, le pergamene greche esistenti nel grande archivio di Palermo, 1862, pp. 423-428, n. 3; in particolare, a p. 424 nel testo latino si legge: «quadrivium unde procedit via que ducit Petraliam et Castronovum et Biccarum et Panormum».
Il feudo di Màrcatobianco
Il primo cenno storico del possesso del feudo di Màrcatobianco è ascritto ad un certo Francesco Valguarnera, la cui famiglia lo tenne in possesso fino agli inizi del 1600. Ad acquistare il fondo da Annibale e Vincenzo Valguarnera fu Angelo Gorfino un genovese che il 18 dicembre del 1607 lo cedette al proprio nipote Angelo Gorfino, proprietà che fu tenuta dalla medesima famiglia fino al 1745.
Successivamente, fino al 1849 Màrcatobianco fu posseduto dai signori: Nicola Incandiola, Antonio Maria e Giovarmi Spinotto, Michele Lanza Morello, Corrado Lanza Parisi e Michele Lanza Parisi.
Una storia di lacrime e sangue
Agli inizi del secolo XX il Feudo di Màrcatobianco risulta in possesso del notaio Agostino Guccione, il quale lasciò la proprietà ai quattro figli Giuseppe, Damiano, Stefano e Antonino. La proprietà di Stefano andò alla figlia Iolanda insieme a quella del fratello Antonino che era senza eredi; la ragazza, nonostante il diniego dei genitori, sposò un certo Albergamo, un funzionario addetto alla riscossione delle tasse. La negazione del matrimonio da parte della famiglia Guccione era dovuta al fatto che Albegamo, oltre ad essere di ceto sociale inferiore, aveva anche disturbi psichici, tanto da causare una sciagura nella famiglia Guccione.
Successivamente ad una serie di tentavi da parte dell’Albergamo di ricevere in donazione il feudo di Màrcatobianco ed il rifiuto da parte dei legittimi proprietari, una mattina, per vendetta uccise la propria moglie, la quale era anche incinta, nonché la zia, moglie di Antonio, la quale, essendo senza figli, aveva riversato il suo istinto materno alla cara nipote.
L’Albergamo, successivamente al grave omicidio, si toglierà anche lui la vita, ma morirà solo dopo due ore.
L’omicida verrà riconosciuto mentalmente malato dopo 15 armi di processo; il feudo però fu ereditato dai fratelli dell’Albergamo, in quanto essendo morto dopo la moglie, anche se solo di due ore, in quel frangente rappresentava l’unico legittimario della proprietà della moglie Iolanda, così, per i signori di Màrcatobianco, al danno si aggiunse anche la beffa.
Successivamente, gli eredi di Giuseppe e Damiano Guccione vendettero parte della proprietà del feudo, ciò consentirà a diversi mezzadri di diventare legittimi proprietari della terra che da sempre avevano coltivato.
Per tanto tempo la casa padronale dei Guccione di Màrcatobianco, in ricordo del tragico fatto, venne soprannominata dalla popolazione locale, “casa di la disgrazia”. I contadini del luogo raccontano anche che nelle notti di luna piena si vede girare per le strade del villaggio il fantasma della bella Iolanda che implorava aiuto per lei e per il suo bambino.
La vita sociale ed economica di Màrcatobianco
Màrcatobianco fino agli anni ’30 era una zona malarica. Diverse persone contrassero la malattia e qualcuno ci rimise perfino la vita. Il focolaio d’infezione era causato dall’attuale sorgente che sgorga nella zona sottostante il centro abitato, oggi fortunatamente ripristinato a bevaio.
Màarcatobianco, oltre alla casa padronale dei Guccione, oggi in possesso della famiglia Tripi, ha una chiesa parrocchiale, che nel tempo è stata ingrandita per rispondere alle nuove esigenze della popolazione.
Fino a qualche tempo addietro, entrando a destra del paese, si ergeva una grande stalla, mentre i rimanenti fabbricati venivano dati in concessione ai mezzadri. La curiosità di questo luogo è la mancanza di un cimitero. La popolazione di Màrcatobianco, fino a qualche trentennio addietro, aveva escogitato il sistema di mettere sopra i muli le persone morte e farli incamminare verso il paese di Alia, dichiarando che il povero sventurato era deceduto nel territorio dello stesso comune, avendo così assicurata la sepoltura nel medesimo centro.
Vicino all’attuale casa detta du Zu Bustinu, oramai abbandonata, si ergeva la panetteria che quotidianamente serviva a preparare il pane per l’intero villaggio.
La stazione di Màrcatobianco fu voluta ed ottenuta dal notaio Giuseppe Guccione, ciò per favorire il trasporto dell’enorme quantità di derrate che venivano prodotti nel suo feudo di Màrcatobianco, ma consentiva anche al bracciantato locale di spostarsi agevolmente, specie nella stagione di raccolta quando il numero di lavoratori era esorbitante. Per tale risultato al Guccione gli fu affibbiato il titolo di “baruneddu”. Nella parte inferiore della chiesa esisteva “u firrìatu” una sorta di orto padronale che produceva ogni ben di Dio. Ciliegie, albicocche, prugne, mele, pere, olive, vite, ecc. e tante altre piante ortive che consentivano di sfamare, non solo i Guccione, ma anche le famiglie dei mezzadri.
L‘asse viario principale è costituito dal Corso Roma da cui si dipartono verticalmente delle piccole strade e due grandi slarghi, il primo dove si trova la Chiesa parrocchiale ed un altro qualche decina di metri più avanti. La chiesa è prospiciente alla piazza principale, abbellita da una serie di aiuole, è dedicata al SS. Crocifisso; è ad unica navata con semplici decorazioni. Nelle piccole nicchie incastonate ai muri perimetrali sono alloggiati: S. Giusepe, S. Rosalia e il Beato Padre Pio.
Le feste
La festa principale è dedicata al SS. Crocifisso e si svolge la terza domenica di maggio. Nella mattinata è celebrata la S. Messa solenne, mentre nel pomeriggio ha inizio la processione. Fino ad un decennio addietro la processione si svolgeva di mattina. Il miracoloso Crocifisso posto su di una “vara” è portato a spalla dalla confraternita in un luogo denominato cozzu du Signuri. Il sacerdote viene fatto salire sulla “vara” e, quindi, alzato a spalla dalla confraternita. A questo punto, dopo una preghiera, il prelato benedice i fedeli e la campagna nella speranza di ottenere un buon raccolto. Naturalmente il suono della banda e lo scoppiettio dei giochi d’artificio assicura alla giornata la festosità. Fino a qual che anno addietro venivano offerti ai devoti ceci e carne di capretto.
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- Centro Universitario Europeo Beni Culturali © 2005 by P. Laveglia Editore sas
- Salerno, Giuseppe Arlotta, Vie Francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale.
- Ferdinando Maurici Problemi di Storia, Archeologia e Topografia Medievale nel territorio di Castronuovo Di Sicilia in Provincia di Palermo – IISBN 88-7642-088-6