L’olivicoltura di collina e montagna salvata dalla nuova Pac: 586 euro in più a ettaro

In Sicilia la coltivazione dell’olivo tende a intensificarsi, passando dai tradizionali sistemi di coltivazione a bassa densità a quelli intensivi ad alta densità. Produrre un buon olio di qualità a prezzi contenuti, per essere competitivi sui mercati, è l’obiettivo degli olivicoltori siciliani, anche se restano molti dubbi. I costi di impianto dei sistemi superintensivi sono elevati, l’atavica carenza idrica limita l’introduzione, le varietà impiantate sono poche e tutti di provenienza spagnola, quindi, qualità e tipicità viene messa in discussione, si ha anche una omologazione degli oli, insomma, l’ammodernamento degli impianti produttivi ancora non risolve il problema dell’olivicoltura italiana e mediterranea.

Nonostante le giuste perplessità l’olivicoltura superintensiva è diventata un tormentone. Convegni, seminari, articoli, ecc. tutti manifestano questa miracolosa e rivoluzionaria idea per salvare l’olivicoltura italiana.

Viene descritta come una parete produttiva la cui raccolta in continuo viene effettuata con una macchina scavallatrice. La densità di impianto è costituita da 1.200 – 2.000 alberi/ha, si avvantaggia di una produzione precoce, l’alternanza di produzione è molto attenuata e tutte le operazioni colturali sono per gran parte meccanizzate. Pare che la scavallatrice impieghi due 2 ore per raccogliere un ettaro di uliveto, contro, per impianti intensivi con scuotitore si impiega 18 h/ha. Quindi è un sistema colturale ad altissima meccanizzazione e ad altissima produttività del lavoro umano.

Per AgroNotizie, “Fino al 2010 le varietà per il superintensivo erano essenzialmente due: l’Arbequina (85%) e l’Arbosana (10%). Oggi l’offerta varietale è molto più ampia. L’Arbequina conta il 34% della superficie a superintensivo in Italia, seguita da Oliana (19%) e Arbosana (12%), mentre il miglioramento genetico ha portato, attraverso l’incrocio controllato, alla brevettazione di nuove cultivar, tutte a bassa vigoria, quindi ideali per il superintensivo. La Lecciana® (17%), che ha Arbosana come parentale materno e Leccino come parentale paterno, ha preso i punti di forza di entrambe, la riduzione della vigoria, l’entrata in produzione al secondo anno e la grande qualità dell’olio. La Olidia®, che ha Arbosana come parentale materno e Koroneiki come parentale paterno, si apprezza per la vigoria bassa, l’elevata fertilità e l’eccezionale profilo organolettico degli oli”.

In Sicilia la sperimentazione condotta dall’Università di Palermo – Unipa indica nella varietà Calatina la più rispondente alla produzione con il sistema superintensivo.

Ad avvalorare tale scelta, in molti intervengono dicendo che è diventato difficile il reperimento di manodopera per la raccolta e la potatura, elementi che incidono sul conto culturale per circa il 60% dei costi, ai quali vanno sommati anche quelli per la trasformazione, tutti spunti che portano alla scelta del sistema superintensivo per la risoluzione dei problemi.

Non tutti però dicono che quasi il 60% dell’olivicoltura nazionale produce in terreni scoscesi, inoltre la proprietà è fortemente frammentata e posizionate in media e alta collina, spesso difficile da raggiungere, dove assume ruoli, oltre a quello economico, anche sociale, d’ancoramento del terreno, quello paesaggistico, quello culturale, ecc. Viene da chiederci, di queste olivicoltura cosa ne facciamo? E’ possibile salvare le due olivicolture: l’intensivo e il tradizionale?

Quest’ultima è un’olivicoltura molto spesso di qualità, sia sosto l’aspetto organolettico che nutraceutico, grazie alla presenza corposa dei miracolosi polifenoli.

Ma c’è di più. E’ importante salvaguardare prima di tutto la notevole biodiversità con la presenza di più di 500 varietà ed ecotipi che impreziosiscono il nostro patrimonio genetico, con la produzione di oli tipici di eccellenza, avvalorati dalle migliaia di premi conseguiti nei concorsi oleari nazionali e internazionali.

Per fortuna, dopo anni di lotte, in aiuto di questa olivicoltura “nazionalpopolare”, ci viene incontro la nuova Politica Agricola Comune (PAC) che vuole salvaguardare a tutti i costi questo modello produttivo.

La Politica comunitaria ha optando per aiuti che mirano alla salvaguardia del patrimonio produttivo tradizionale e il reddito degli imprenditori.

Tommaso Cinquemani, su AgroNotizie, evidenzia che “gli olivicoltori possono arrivare a portare a casa fino a 586 euro in più ad ettaro” e al riguardo fa una disamina degli aiuti:

PagamentoImporto (Euro)
Sostegno al reddito di base(Variabile)
Sostegno accoppiato116
Ecoschema 3220
Eco-schema 2 o Eco-schema 5120 – 250
Totale456/486

In sintesi, gli agricoltori che possiedono Titoli per gli oliveti possono accedere ai seguenti pagamenti:

  • Pagamento di base (il cui ammontare dipende dai propri Titoli).
  • Pagamento accoppiato, si stima ammonterà a circa 116 euro ad ettaro.
  • Ecoschema 3, provvedimento specifico per gli olivi, che vale 220 euro.
  • Ecoschema 2 o 5, il primo (120 euro) impone l’inerbimento dei campi, mentre il secondo (250 euro) impone l’inerbimento con specifiche essenze di interesse apistico.

L’ eco-schema 3, salvaguardia olivi di particolare valore paesaggistico; sono ammissibili tutte le superfici olivetate di particolare valore paesaggistico e storico che hanno aderito all’ECO 2 e applicato a quelle superfici che hanno una densità minima di piante a ettaro pari a 60 e fino ad un massimo di 400. Gli agricoltori che aderiscono all’ECO 3 devono effettuare potatura biennale delle chiome secondo criteri stabiliti con divieto di bruciatura in loco dei residui di potatura, salvo diversa indicazione e mantenere l’oliveto oggetto di impegno nel suo status quo, quale valore paesaggistico e di vieto di conversione, anche attraverso infittimenti, in sistemi più intensivi; l’impegno deve essere mantenuto per almeno un anno successivo a quello dell’adesione all’ecoschema. L’importo unitario dovrebbe attestarsi a 220 euro per ettaro ipotizzando oltre 683mila ha, maggiorato per le Zone Vulnerabili da Nitrati di origine agricola (ZVN) e nelle zone Natura 2000.

Tale scelta per il momento servirà a salvaguardare un patrimonio varietale unico al mondo, nonché il paesaggio, l’ambiente e soprattutto la qualità dei nostri oli unici per caratteristiche e aspetti organolettici e nutraceutici che tutti ci invidiano.