Lumache da gastronomia, come fare un impianto
Il capitolo 8 del libro di Giuseppe Coria “Profumo di Sicilia” Ed. Cavallotti classifica le chiocciole o lumache come “ne carni ne pisci”. In questo gruppo rientrano le anguille, le lumache e le rane, granchi.
Inoltre, anticamente, il secondo piatto (secùnnu) in genere veniva meglio identificato col sinonimo di pitànza; mentre per primo si intendeva il piatto di pasta quindi il pranzo si componeva dalla pasta e pitànza, infatti, sono l’immancabile accoppiata del pasto di mezzogiorno.
A pitànza, poteva essere “di grasso”, quindi di carne, ed era allora detto càmmaru; “di magro”, pesce, verdure variamente ammannite, o frittata, detto scàmmaru.
I limiti dunque tra càmmaru e scàmmaru erano quindi perfettamente segnati, ma anguille, lumache e rane, Giuseppe Coria ribadisce che nessuno ci ha detto a quali delle due categorie appartenessero. In gastronomia, ogni regione, ma anche paese evidenzia un assillolinguistico, nel nostro caso evidenziamo i vocaboli “chiocciola” e “lumaca” sono utilizzati come due sinonimi. I due termini in questione non sono per nulla intercambiabili; indicano infatti due cose
sostanzialmente diverse; la parola “chiocciola” si riferisce a certi molluschi forniti di una conchiglia esterna elicoidale, mentre la parola “lumaca” (un nome altrettanto onnicomprensivo) si riferisce ad altri molluschi sprovvisti di conchiglia (o, se presente, ridotta ad una minuscola placchetta subepidermica). Per dirla in dialetto siculo la lumaca è la “Secchia”; quella specie di essere vermiforme, strisciante sui muri umidi, che nessuno, mai e poi mai, si sognerebbe di utilizzare come cibo. Stabilito ciò, si evince come nel linguaggio culinario si commette un madornale errore lessicale, duro a morire. Pertanto sarebbe più opportuno chiamare gastronomicamente i nostri amici babaluci o vavaluci con l’appellativo chiocciole da gastronomia.
Nell’intervista a a Ciro Miceli, elicicoltore, i consigli su come fare un impianto di elicicoltura