Pignatone (M5S): “Dalla Ue rilievi importanti sul PsP ma non bocciatura” – Intervista
Il Piano strategico italiano (PsP) non ha convinto la Commissione europea, la quale lo giudica incompleto e poco coerente con le strategie europee, inoltre gli obiettivi ambientali risultano sufficienti, con una redistribuzione dei sussidi iniqua e una burocrazia eccessiva. “E’ tutto sbagliato, è tutto da rifare”?
Sul Piano strategico italiano, precisiamo subito che quella della Commissione non è una bocciatura. Chiaramente, sono stati fatti rilievi importanti, ma si tratta di osservazioni.
Bisogna dire, comunque, che in ambito agricolo, un ruolo importante, anche in ordine alla definizione degli obiettivi proviene dalle Regioni, e l’accordo sulla Pac 2023 – 2027 in conferenza Stato-Regioni, è stato trovato poco prima dello scorso Natale, per cui è anche vero che il Ministero non ha avuto molto tempo per elaborare il piano.
Venendo ai rilievi, ritengo che tra le osservazioni principali vi sia quella di avere avuto un “atteggiamento morbido” dal Ministero. Infatti, ritengo che non è sufficiente ridistribuire le risorse, ma è necessario avere maggiore coraggio ed essere maggiormente decisionista. È chiaro che quando si prendono delle decisioni forti, nette, c’è il rischio che alcuni vengono accontentati e altri no. Si pongono in essere una serie di cambiamenti. Ma questo è il momento di avere maggiore coraggio.
Tra i ben 244 rilievi, la Commissione invita l’Italia a rafforzare la sua strategia di semplificazione e descrivere in particolare come sarà ridotto l’onere amministrativo per i beneficiari e in particolare per i piccoli agricoltori, anche per quanto riguarda la possibilità per tutti i potenziali beneficiari di richiedere autonomamente il sostegno della Pac senza la necessità di rivolgersi a servizi esterni a pagamento. Arriveremo finalmente a snellire l’annosa e opprimente burocrazia europea?
Quando ci interfacciamo con la Politica agricola comunitaria, ci interfacciamo con dinamiche europee che presentano molta meno burocrazia rispetto all’Italia.
Uno degli obiettivi che ci siamo posti è proprio quello di semplificare, ma è un processo tutt’altro che semplice. In questa direzione abbiamo fatto qualche passo avanti, pensiamo ad esempio alle visite mediche dei lavoratori agricoli, prima costretti a farne una ad ogni inizio lavoro, che poteva tradursi anche in più visite al mese; mentre adesso, invece, il certificato medico, per mansioni equivalenti, dura un anno.
Ma certamente grandi passi avanti devono essere fatti per semplificare i pagamenti e la partecipazione ai vari bandi, oltre che l’accesso al credito.
Il dopo lockdown e ora l’invasione dell’Ucraina possono far vacillare le solide certezze del Green Deal europeo?
Gli obiettivi centrali di ogni politica agricola sono quelli di garantire cibo a tutti e che sia sano, salubre, e a prezzi contenuti: questi principi che devono guidare anche l’azione futura.
È evidente che il lockdown e l’invasione dell’Ucraina stanno ponendo una serie di domande. Si inizia a parlare addirittura di carestia, vengono fuori temi quali quello dell’autosufficienza alimentare. Purtroppo, sono temi di cui non si sentiva parlare da oltre 50 anni. Diciamo pure che la Russia utilizza come strumento bellico anche il rischio di carestia, bloccando l’esportazione di ben 25 milioni di tonnellate di cereali.
Di fronte al rischio di carestia, è vero che il Green new deal, cioè il rispetto dei parametri ambientali, potrebbe passare in secondo piano, è chiaro che oggi dobbiamo concentrarci sull’aumentare la produzione. Tuttavia, non penso che questo sia un tema che si possa o si debba abbandonare. Il tema ambientale, il tema energetico, il tema della produzione, rimangono tutti. Cioè, a mio avviso, il concetto di Green new deal deve essere visto non come mero esercizio di stile, ma come un nuovo rapporto tra produzione, consumo delle risorse e ambiente.
Faccio un esempio, l’uso dei pannelli solari può, da un lato offrire una produzione più rispettosa dell’ambiente, dall’altro abbassare i costi di produzione, aiutando le aziende in questo difficile momento di caro energetico.
In Sicilia, i diversi attori della filiera agricola lamentano che il Pnrr non tiene conto delle singole agricolture regionali, in particolare, nella nostra isola, il settore è decisamente fragile e poco evoluto e con una carenza di infrastrutture (strade, luce, acqua, ecc.). Come si concilia l’agricoltura smart con la realtà produttiva siciliana?
Alla Sicilia sono destinati, ormai da tempo, finanziamenti estremamente importanti dedicati all’agricoltura.
Purtroppo, però, la classe politica dirigenziale regionale non ha avuto un’adeguata visione in tema di politica agricola e di economia agraria.
Il tema acqua, ad esempio, fondamentale per l’agricoltura siciliana, ha avuto ampio spazio nel Pnrr ma l’Assessorato non è stato in grado di intercettare i fondi, e non mi si venga a dire che c’è un problema “Nord contro Sud”, perché le altre regioni meridionali hanno preso i fondi e visto approvare i progetti. La regione accanto alla nostra, la Calabria, ha ricevuto ingenti finanziamenti sull’acqua, a seguito di una corretta progettazione.
Oggi ci sono molti contributi che favoriscono una visione imprenditoriale dell’azienda, della filiera, ed è in questa direzione che bisogna andare se vogliamo un’agricoltura che dia un reddito adeguato agli agricoltori e paghi in modo corretto il prodotto.
Nella mia esperienza, ho conosciuto tanti imprenditori agricoli siciliani che fanno impresa in senso moderno, con grandi soddisfazioni, ma è chiaro che questi non possono essere lasciati soli, ma sostenuti. La “smart agricoltura” non è un vezzo, una moda da seguire, ma qualcosa che consente di abbassare i costi, di produrre di più.
Le aree interne meridionali, nonostante gli sforzi economici profusi, resta ferma al palo. E’ possibile che le scelte politiche fin qui prodotte sono sbagliate?
Beh, innanzitutto sul fatto che resti al palo non sono proprio convinto, non farei di tutta l’erba un fascio. Ci sono vari settori che, con tutte le difficoltà legate alla pandemia prima e ora alla crisi internazionale che sta colpendo in modo durissimo il settore agricolo, stanno facendo un buon lavoro.
Penso, ad esempio, al settore del vino, dell’olio di qualità, alle certificazioni Dop e Igt, al Bio.
È chiaro che l’agricoltura deve diversificarsi rispetto a quella che si faceva in passato, così come le industrie non riescono a rimanere sul mercato usando macchinari degli anni 70, lo stesso deve avvenire in campo agricolo, ma devo dire che questo mi sembra un concetto già assodato nella gran parte delle imprese agricole.
Detto ciò, voglio ribadire che non sono assolutamente clemente con la classe politica siciliana che si occupa di agricoltura e che dimostra di essere molto scarsa, priva di visione di sviluppo e senza un percorso. Forse non è stato compreso che l’agricoltura è un settore fondamentale per l’economia, per l’occupazione, per i territori, per il paesaggio, per le stesse comunità.
Pensiamo al fatto che ad oggi non si è messo in atto un serio piano per contrastare la siccità, o la riforma dei consorzi di bonifica totalmente ferma.
Secondo lei quale sarebbe la migliore strategia da mettere in campo per affrontare l’attuale scenario di crisi caratterizzato dall’aumento dei costi di produzione, carenza di prodotti, costi energetici, ecc.?
Dobbiamo dirlo chiaramente: in questo momento stiamo affrontando una guerra internazionale che vede tra i principali obiettivi proprio l’agricoltura e le riserve di cibo.
Tra l’altro, il settore agricolo viene colpito dopo due anni di sofferenza causate dalla pandemia.
Intanto sarebbe opportuno rimodulare la Pac in ordine alle mutate esigenze, attuare forme di stoccaggio e sostegno del settore dei cereali, aumentare la percentuale dei pagamenti accoppiati per le produzioni maggiormente strategiche, introdurre un contributo per le superfici messe a coltura e togliere il vincolo delle nuove superfici irrigabili. E ancora, semplificare i pagamenti Agea, adottare specifiche iniziative finanziarie, nonché favorire il rilancio produttivo attraverso la decontribuzione occupazionale.
Diversificare i mercati di approvvigionamento delle materie prime e fertilizzanti, e continuare, così come stiamo facendo in Commissione, a semplificare in ordine a fonti energetiche alternative, come il bio-gas o l’uso del digestato come fertilizzante.
Ma anche favorire il percorso delle Tecniche di evoluzione assistita per avere piante più produttive e meno bisognose di risorse. Su questo la ricerca italiana è all’avanguardia, ma bisogna coniugare la ricerca con la coltivazione in campo.
Infine, non per ultimo in termini di importanza, aumentare la tutela dei nostri produttori e dei consumatori attraverso una serie di strumenti che consentano di identificare e valorizzare il prodotto italiano, mi riferisco al “Granaio Italia” e “Caseificio Italia”.