L’agroalimentare non compensa lo sforzo degli agricoltori
L’agroalimentare Italiano nel 2018 ha raggiunto un fatturato, secondo i dati della Federalimentare, di 140 miliardi di euro, registrando una crescita del 2% sui 137 miliardi registrati nel 2017. Pare che vada benino anche nel 2019. I dati evidenziano inoltre che gli addetti nel comparto sono 1,3 milioni e il prodotto esportato è di quasi 42 miliardi. “Piatto ricco mi ci ficco” è solo una battuta per giustificare i 60 miliardi di agropirateria che ogni anno vanno a finire nelle tasche della mafia.
Piero Grasso, qualche anno addietro, quando era procuratore nazionale, diceva: “Ogni giorno a tavola degli italiani nelle case, nei ristoranti, nelle mense scolastiche, e aziendali siede un convitato criminale non invitato e non gradito”.
E aveva ragione, ma questa è tutta un’altra storia. La riflessione che vi voglio porre è questa. Mentre si assiste ad un balzo positivo dell’industria alimentare, l’agricoltura non fa reddito.
I prodotti non si vendono e sono assoggettati al volere della grande distribuzione e dell’industria agroalimentare. Mi viene da concludere che l’agricoltura italiana si avvantaggia poco o pochissimo del boom dell’export agroalimentare.
Quindi, salta subito all’occhio analizzando i numeri dell’import ed export che per la nostra meravigliosa pasta Made in Italy è prodotta con grano straniero, la stessa cosa succede per l’olio, formaggi e dolci con la frutta secca, ecc. Nel 2017 abbiamo importato 7 miliardi e 400 milioni di prodotti. E’ orami accertato che la produzione italiana non riesce più a soddisfare la crescente domanda dell’industria alimentare.
A me viene da pensare che, prima o poi, qualcuno possa arrivare alla conclusione che questo Made in Italy “non è tutto oro che luccica”. Allora cosa fare? Prima di tutto favorire una politica che favorisca l’aumento della produzione, per sopperire alla crescita dell’export italiano. Secondo, il settore agricolo ha necessità e urgenza d’integrarsi sempre di più con quello agroalimentare favorendo la nascita di più filiere che garantisca di incrementare una parte del valore aggiunto dell’export.