Tipicità

‘A Cudduredda c’usavucu di Castronovo di Sicilia

Nel cuore della Sicilia, tra tradizione, mito e sapienza contadina, nasce una prelibatezza antica: ‘a cudduredda c’u savucu, una focaccina di pane profumata ai fiori di sambuco, tipica di Castronovo di Sicilia. Questa preparazione, semplice e al tempo stesso ricca di significati, affonda le sue radici nella storia millenaria del Mediterraneo.

Succede spesso a maggio: passeggiando per i vicoli di Castronovo o lungo i sentieri della campagna, all’improvviso si è avvolti da un profumo dolce e penetrante. Sono i fiori di sambuco, piccoli e candidi, che annunciano l’arrivo della nuova stagione. È proprio in questo momento dell’anno che nasce la cudduredda, impastata con amore e memoria, e offerta come dono semplice e sacro. Le fautrici di questa prelibatezza castronovese sono le signore locali abili a mantenere segreti di questo sposalizio gastronomico.

Il termine “cuddura” – dal greco antico kollýra (κολλύρα), indicava una pagnotta tondeggiante con un buco al centro, di consistenza soffice e nel contempo gustosa – era parte delle offerte rituali durante i culti eleusini dedicati a Demetra, dea della fertilità e del risveglio primaverile. Queste pratiche furono portate in Sicilia dal sacerdote Thelines e si radicarono nel patrimonio culturale locale. In siciliano, la parola si è trasformata in cuddura, e al diminutivo cudduredda, oggi presente in diverse varianti in tutta la Sicilia e nel Sud Italia.

A rendere unica la cudduredda di Castronovo è l’incontro con il sambuco (Sambucus nigra), pianta selvatica della famiglia delle Caprifoliaceae, dai fiori bianchi e profumati. I fiori di sambuco – ‘u savucu, nel dialetto locale – vengono raccolti nel mese di maggio, quando sprigionano il loro profumo più intenso, e incorporati direttamente nell’impasto della focaccia, conferendole un aroma delicato e inconfondibile.

Oltre al sapore, il sambuco arricchisce la cudduredda anche sul piano salutistico: ricco di flavonoidi, è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, diaforetiche e diuretiche, ed è ampiamente utilizzato nella medicina tradizionale.

La presenza del sambuco nella panificazione ha origini antiche, probabilmente risalenti alla presenza della comunità ebraica presente a Castronovo di Sicilia. In particolare, nell’antica Crasto, dove queste culture si sono intrecciate, la cudduredda c’u savucu rappresenta una sintesi tra riti primaverili, saperi popolari e influenze religiose. Questa specialità è anche presente nelle comunità greco-albanesi (arbëreshë) di Sicilia, tra le quali a Palazzo Adriano.

Il sambuco è circondato da un’aura di magia e rispetto. In Germania, si raccontava che nel suo tronco vivesse la fata Holda, protettrice dei campi e degli animali. Piantarlo vicino alle case, monasteri e fortezze serviva a tenere lontani serpenti e sventure. Nell’Europa mediterranea, compresa la Sicilia, si credeva che i suoi fiori raccolti alla vigilia di San Giovanni acquisissero virtù protettive se lasciati tutta la notte all’aperto per ricevere la benedizione del santo.

Altre leggende, più cupe, narrano che il legno di sambuco fu usato per costruire parte della croce di Cristo e che Giuda si impiccò proprio a un albero di sambuco.

Sin dai tempi dei Romani – Apicio ne tramanda una ricetta – i frutti e i fiori del sambuco venivano utilizzati in cucina: per aromatizzare il vino, l’aceto, o nella preparazione del Akté, una bevanda curativa descritta da Teofrasto. Nonostante la modernità abbia ridotto l’uso di questa pianta, in ambito contadino il sambuco ha continuato a essere raccolto e valorizzato in infusi, tisane, sciroppi, dolci, fritti e pani.

La cudduredda c’u savucu, in molti paesi il termine è utilizzato al maschile cuddureddu, è anche conosciuta altrove come “pane di maggio” o “pane co’ sciuri”, ed è oggi uno dei simboli della primavera gastronomica siciliana, un connubio perfetto tra natura, storia e devozione.