Dalla fitoalimurgia antica al benessere moderno

Si definisce fitoalimurgia la conoscenza dell’uso delle specie vegetali (soprattutto erbe e/o verdure spontanee) a scopo alimentare.
Nel recente passato era consuetudine, in particolare tra i ceti meno abbienti, andare per erbe, rappresentando una risorsa alimentare di primaria importanza.
Durante l’ultimo conflitto, le truppe statunitensi sbarcate in Italia disponevano di un manuale di fitoalimurgia, approntato da una commissione di botanici americani, da utilizzare come prontuario di sopravvivenza.
Oggi la fitoalimurgia non ha più la funzione di risorsa alimentare, ma molti, grazie anche al maggior tempo libero a disposizione, stanno riscoprendo che andare per verdure porta alcuni benefici: venire a contatto con la natura, fare delle lunghe passeggiate (per allenare il cuore) e non ultimo variare il classico menu, disponendo di fibra lunga, sali minerali e vitamine.
L’uso delle verdure spontanee quali fonte di sostentamento, anche se in diminuzione, interessa ancora molte persone che a diverso titolo si occupano della raccolta di queste erbe.
Sull’utilità delle erbe commestibili si hanno ampie tradizioni orali e diverse testimonianze scritte; la prima pubblicazione che affronta l’argomento sotto il profilo scientifico è quella del medico fiorentino Giovanni Targioni-Tozzetti e risale al 1767. L’opera tratta i rimedi mediante i quali le popolazioni, ricorrendo all’uso dei prodotti spontanei della terra e principalmente delle verdure, riuscivano a sfamarsi durante le carestie (era appena passata quella del 1764), le pestilenze, le guerre, le calamità naturali, eventi, questi, che impedivano lo svolgimento delle normali pratiche agricole. L’opera dal titolo De Alimenti Urgentia e sottotitolo Alimurgia, introduce la locuzione alimurgia dalla quale deriva il termine fitoalimurgia che, ancora oggi, designa lo studio delle piante a scopo gastronomico e che deriva da tre vocaboli greci, phytón = pianta, alimos = che toglie la fame ed ergon = lavoro, attività.
Le verdure spontanee, una volta raccolte, vengono direttamente consumate oppure messe in commercio. Il commercio delle verdure spontanee è praticato, in genere, come occupazione secondaria. Tuttavia, pur trattandosi di merce a costo zero, fatta eccezione del dispendio di tempo necessario a cercarla e raccoglierla, la sua vendita non offre mai notevoli introiti, specialmente a confronto del commercio dei funghi selvatici.
Di norma gli erbaioli vendono le verdure raccolte direttamente al pubblico, su banchetti improvvisati ai margini delle strade o nei mercati rionali. In effetti, alcune verdure, ad esempio il Cavolicello, il Finocchio selvatico e l’Asparago pungente, sono piuttosto richieste dal consumatore; in questi casi l’erbaiolo rifornisce il fruttivendolo il quale vende, poi, la merce nei negozi di frutta e verdura a prezzi maggiorati.
Tuttavia, nel complesso, il commercio delle verdure spontanee rimane poco proficuo a causa non solo del basso valore della merce, ma anche dal breve periodo di disponibilità del prodotto, legato al ciclo stagionale delle diverse specie.
Per poter essere consumate, le verdure devono essere innanzitutto pulite. Pulire l’erbaggio (annittari a virdura) è un’operazione, di norma, molto semplice, che consiste nella eliminazione delle parti secche e degli eventuali frammenti di erbe non commestibili accidentalmente frammisti alla verdura, quindi nel lavaggio accurato, fatto sempre con acqua fredda. I turioni degli Asparagi e quelli del Tamaro devono essere separati dalla porzione apicale tenera e da quella basale tenace e, soprattutto, i “carducci” della Cardogna devono essere sottoposti ad una complessa operazione di rimozione delle loro innumerevoli spine aguzze.
Dopo la pulitura, la verdura può essere consumata cruda o cotta a seconda del tipo.
E’ preferibile scartare le verdure che crescono lungo i bordi delle strade trafficate e nelle monocolture, nel primo caso per gli scarichi inquinanti degli autoveicoli e l’accumulo di polvere, nel secondo a causa del largo uso di fitofarmaci, prodotti chimici spesso velenosi i cui residui permangono nelle verdure. I fitofarmaci sono, per altro, responsabili della scomparsa dai campi di diverse specie di verdure spontanee.
E’ consigliabile anche evitare la raccolta delle verdure che crescono vicino ai centri abitati, poiché potrebbero essere contaminate da patogeni fecali, pericolosi qualora la verdura venisse consumata cruda. In realtà, tale pericolo era più frequente in passato, quando le acque di scolo defluivano in canali a cielo aperto e le epidemie di tifo e di colera erano molto comuni.
Infine, nel rispetto ambientale, non bisogna eccedere nella raccolta delle piante e nel caso di piante perenni non estirpare le radici ma limitarsi a prelevarne solo le parti eduli, poiché le stesse ricacciano oppure l’anno successivo rigetteranno.
Le verdure presenti nel territorio siciliano sono molteplici e si differenziano per territorio a seconda dei microclimi e della tipologia di terreno. Per cui una pianta può essere presente, perché ambientata, in un certo areale e non in un altro. Gli erbaioli raccolgono le differenti erbe più per conoscenza tramandata per tradizione orale che per il tramite di manuali floristici o fitoalimurgici.
Nel dialetto locale tali verdure sono denominate vidduri boni per distinguerle da quelle non commestibili dette vidduri (virduri) sarbaggi e da quelle coltivate dette vidduri (virduri) mansi.
Le parti commestibili di una pianta sono diverse in rapporto alla specie: foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi e bulbi.
E’ possibile utilizzare le parti aeree di piante giovani, appena germogliate oppure di quelle adulte che hanno emesso i nuovi germogli laterali e comunque prima della fioritura. Con l’avanzare della maturità, infatti, la verdura diventa più fibrosa, perde l’originario sapore gustoso e diviene poco gradevole; in altri termini, essa non è più buona da mangiare e in dialetto, allora, si dice che è “spicata”.
La porzione da raccogliere può essere in certe specie il cespo (a troffa ), come nella Borragine, o la rosetta di foglie basali (a zotta), come nel Crespino e nella Latticina. In altre specie si raccoglie, invece, l’asse fiorifero, quando però è ancora tenero e con i fiori in boccio, come nel caso di molte Crucifere (Senape: mazzareddi, spicuna).
Infine, un cenno particolare meritano i turioni, (sparaci) germogli che si prelevano da talune specie, quali l’Asparago o il Tamaro.
Pochi sono, invece, gli erbaggi ricercati per le loro porzioni sotterranee, citiamo la Bellavedova per i tuberi, il Lampascione e il Porraccio per i bulbi.
Ho pensato di scrivere questo articolo anche per lanciare un allarme legato alla perdita della cosidetta “conoscenza tramandata”. Ovvero evitare che il riconoscimento delle erbe spontanee a uso alimentare e/o curativo/officinale diventi sempre più una conoscenza residuale solo di chi vive o frequenta per lavoro le campagne.
Penso che le Amministrazione pubbliche della Agricoltura, della Salute e della Istruzione/Formazione, collaborando, debbano investire insieme, in quanto una dieta equilibrata (dove siamo presenti anche le erbe spontanee) e il movimento possono prevenire molte delle malattie che oggi hanno un forte incidenza sulla salute umana (cardiovascolari, diabete, obesità).
Le “verdure spontanee” si comportano da alimenti nutraceutici ovvero alimenti-farmaci. Esempi di nutraceutici sono i probiotici, gli antiossidanti, gli acidi grassi polinsaturi (omega-3, omega-6), le vitamine e i complessi enzimatici. Tipicamente vengono utilizzate per prevenire le malattie croniche, migliorare lo stato di salute, ritardare il processo di invecchiamento e aumentare l’aspettativa di vita.
Concludo questo pezzo con una citazione e una proposta:
– “L’ aspetto esteriore di una pianta è solo metà della sua realtà” (Johann Wolfgang von Goethe);
– I botanici costituiscano una database fotografico delle erbe spontanee siciliane nei diversi stadi di crescita; gli informatici elaborino una App (applicazione mobile) che consenta da uno scatto fotografico di uno smartphone di trovare, dopo pochi secondi, l’erba spontanea fotografata.

Per farmi perdonare vi consiglio una mia ricetta che potete applicare per tutto l’inverno.

Spaghetti con borragine, piselli e zafferano.
Ricetta: soffriggere dei cipollotti in una padella con abbondante olio extravergine di oliva, aggiungere i piselli e a metà cottura mettere le foglie di borragine, ben lavate e ridotte in piccole parti. Aggiungere al bisogno dell’acqua. Scolare gli spaghetti e farli saltare in padella aggiungendo il formaggio che si preferisce (pecorino o grana) e dello zafferano con una bella spolverata di pepe nero. Tenere sempre a disposizione un pò di acqua di cottura, può essere utile per evitare che la pasta si asciughi troppo.