Coltivazione idroponica: come fare e i vantaggi per l’agricoltura
Coltivazione idroponica: un futuro più sostenibile per le coltivazioni?
Banalmente, anche una comune pianta in vaso che teniamo sul balcone di casa nostra è una coltura fuori suolo. Bisogna dunque precisare che il termine coltivazione idroponica si usa per indicare le colture senza substrato o su mezzo liquido: le colture fuori suolo si possono suddividere in colture su substrato e colture senza substrato o su mezzo liquido. Nelle prime, le radici affondano in un substrato di diverso tipo (organico, inorganico o artificiale) che viene costantemente inumidito con la soluzione nutritiva, nelle seconde l’apparato radicale è immerso direttamente nella soluzione nutritiva. Le coltivazioni idroponiche rientrano in questa seconda categoria.
Agricoltura idroponica dal greco ὕδωρ hýdor, acqua + πόνος pónos, lavoro), o idrocoltura s’intende una delle tecniche di coltivazione fuori suolo. La pianta viene irrigata con una soluzione nutritiva composta dall’acqua e dai composti (per lo più inorganici) necessari ad apportare tutti gli elementi indispensabili alla normale nutrizione minerale. La tecnica è altrimenti conosciuta con il termine di idrocoltura. La coltivazione idroponica consente produzioni controllate sia dal punto di vista qualitativo sia da quello igienico-sanitario durante tutto l’anno.
Nello scenario dell’agricoltura 4.0, la coltivazione idroponica costituisce un sistema fortemente innovativo destinato a rendere possibili le coltivazioni agrarie anche in habitat estremi come quello di un deserto, di una navicella spaziale o di un habitat come la Luna o Marte.
Questa tecnica si sta sempre più facendo strada nella coltivazione delle piante. In questa particolare tipo di coltivazione, la crescita della pianta e del suo apparato radicale, avviene al di fuori della terra, che viene sostituita da un substrato inerte, composto, solitamente, da argilla espansa, perlite, vermiculite, lana di rocca, zeolite, fibra di cocco, ed altre fibre naturali. Allo stesso tempo, l’irrigazione e la crescita della pianta, è affidata ad una soluzione nutritiva composta, da acqua e dei composti inorganici, necessari ad apportare tutte le sostanze necessarie alla crescita delle piante stesse. Questa particolare tecnica produttiva, permette di apportare notevoli benefici, da un punto di vista qualitativo e da quello igienico-sanitario, durante tutto il processo.
Tra l’altro con la coltivazione tradizionale, oggi, riusciamo a malapena a sfamare la popolazione mondiale. Al momento attuale ognuno di noi ha a disposizione in media circa 2 mila metri quadri di suolo agricolo (negli anni ’70 era più del doppio). Figuriamoci nel 2050, quando la popolazione raggiungerà i 9,7 miliardi. Senza contare che la disponibilità di terreno agricolo man mano sta diminuendo perché questo viene convertito in suolo edificabile.
Nel futuro ci sarà una contrazione di terra disponibile. Bisogna dunque trovare nuovi metodi di coltivazione.
I sistemi Low Tech ne sono un esempio: facili da implementare e poco costosi. Senza guardare al futuro, questi sistemi sono tuttora importanti perché capaci di aumentare la produzione e il consumo di ortaggi freschi nei villaggi e nelle periferie povere delle città del Sud del mondo. Sono quindi fondamentali per la sicurezza alimentare di molte popolazioni povere o svantaggiate.
Con la coltivazione fuori suolo si può coltivare in qualsiasi luogo e condizione, all’aperto o al chiuso, in orizzontale o in verticale – come per esempio Sky Greens – sui tetti o nelle cantine, in spazi grandi o molto piccoli. E in molti casi le coltivazioni possono essere molto vicine al luogo di commercializzazione riducendo i costi economici e ambientali dovuti al trasporto.
Un migliore controllo dell’approvvigionamento idrico e nutrizionale, con riflessi positivi su quantità e qualità delle produzioni. Una riduzione del consumo idrico, soprattutto con i sistemi chiusi – che recuperano la soluzione nutritiva non utilizzata dalle piante e la riciclano – nei quali si può avere un risparmio di acqua fino all’80-90%, rispetto alla coltivazione tradizionale su suolo. Un uso efficiente dei concimi e una migliore gestione della nutrizione della pianta, inoltre vi è un maggior controllo delle condizioni fitosanitarie: svincolandosi dal suolo viene ridotta, se non eliminata, l’incidenza di quelle malattie che si diffondono dal suolo e dei parassiti normalmente presenti nel terreno. Viene inoltre eliminata del tutto la competizione con le erbe infestanti.
Tutti i sistemi fuori suolo possono essere usati efficientemente in ambienti e climi aridi consentendo una riduzione degli sprechi e delle perdite di acqua e di nutrienti, il che porta conseguentemente a un minor impatto ambientale. Minor impatto, dato anche da un uso limitato di agrofarmaci e diserbanti.
Tra i vantaggi, ovviamente, rientra anche la possibilità di meccanizzazione e automatizzazione della produzione, crescente passando ai sistemi High Tech.
Negli High Tech e, anche se in misura minore, Medium Tech i costi d’impianto sono elevati e necessitano di personale tecnico specializzato, per controllare il corretto funzionamento dei sistemi. Poi bisogna smaltire, da una parte, i substrati utilizzati o esausti – e questo diventa un problema qualora non si utilizzino substrati di origine organica e/o naturale – dall’altra i materiali usati, che con questo tipo di coltivazione sono spesso difficili da riciclare, come la plastica. Altro punto “critico” è l’esigenza di disporre di acqua di buona qualità (non contaminata e non salina).
L’importanza del substrato nella coltivazione idroponica
Il terreno agrario svolge una triplice funzione.
Fisico-meccanica: il suolo permette l’ancoraggio delle piante, andando a proteggere l’apparato radicale dagli agenti che possono interferire con la sua vitalità.
Trofica: il terreno è l’ambiente fisico che nelle condizioni naturali fornisce alla pianta quasi tutti gli elementi necessari di cui ha bisogno.
Ecologica: il terreno è l’ambiente nel quale convivono ed interagiscono i vari fitofagi, parassiti, fitopatogeni ed altri agenti, che mantengono l’ecosistema.
Inoltre con le lavorazioni che comunemente si effettuano su di esso è possibile migliorare lo stato di salute del terreno stesso, con l’apporto di fertilizzanti ed altri prodotti o macchinari che tendono a mantenere inalterato l’intero agroecosistema.
Per la coltivazione idroponica, i fattori da mantenere sotto controllo sono minori, ma di fondamentale importanza. Infatti, non avendo a disposizione il terreno come mezzo di sviluppo della pianta i parametri di controllo si riducono a quattro:
- pH, fondamentale per permettere la solubilità della soluzione e l’ottimizzazione dei processi di scambio di sostanze nutritive;
- conducibilità elettrica, è uno dei parametri fondamentali, poiché, l’elevata o la bassa conducibilità della soluzione nutritiva, comporta a livello osmotico, una maggiore o minore resa della soluzione stessa, che porta ad una conseguente crescita disomogenea della pianta;
- tempi e cicli di erogazione, è il parametro utilizzato per controllare il ricambio della soluzione nutritiva ed il tempo di impiego di utilizzo di quest’ultima. Infatti, una elevata portata di soluzione, innalzerebbe i costi di produzione ed una fuoriuscita della soluzione dal processo evolutivo, così come all’inverso; una bassa portata e sporadici cicli di irrigazione danneggerebbero velocemente la produzione;
- composizione chimica della soluzione, è l’elemento necessario, per mantenere sotto controllo tutte le sostanze all’interno della soluzione, in modo da impiegare il giusto bilanciamento di sostanze per la crescita delle piante.
I vantaggi, per questa particolare coltivazione, sono notevoli, poiché l’utilizzo di acqua per l’irrigazione è ridotto ad un decimo rispetto alla coltura tradizionale, e di conseguenza lo spreco di sostanze per la crescita. Non vi sono dispersioni nel terreno di agenti contaminanti, come diserbanti, ed anche l’uso di antiparassitari è ridotto al minimo.
Ci sono, attualmente disponibili sul mercato, dei fertilizzanti biologici che permettono di ottenere un prodotto biologico, che non può essere certificato, in base alle attuali normi vigenti in materia.
In termini qualitativi i prodotti risultano uniformi sia nelle dimensioni che nelle caratteristiche organolettiche, qualità richieste dai distributori di frutta e verdura. Ci sono già diverse aziende che stanno investendo su questo tipo di agricoltura, da serre che si autoalimentano, o come l’azienda Sfera, nel grossetano, che ha ricevuto finanziamenti per circa 12 milioni di euro per costruire la più estesa serra di coltivazione idroponica in Italia.
La Tecnologia
Sistema idroponico a goccia
Il sistema fa gocciolare la soluzione nutritiva direttamente sulle radici delle piante presenti nel sistema fornendo loro acqua e nutrimenti. Ideali per le coltivazioni di qualsiasi dimensione, i sistemi idroponici a goccia sono particolarmente adatti per le piante che richiedono ampi spazi in corrispondenza delle radici e per tutte le piante che nel crescere tendono ad ingrandirsi molto.
Un sistema di gocciolamento è caratterizzato da serbatoio adeguatamente dimensionato dove far crescere le radici, un altro contenitore per conservare la soluzione nutritiva, una pompa ad aria, per consentire alla soluzione di raggiungere le radici delle piante, delle canaline e dei tubi per collegare la pompa presente nel serbatoio alle piante e sistema elettronico per la gestione dell’intero impianto.
La soluzione nutritiva viene pompata e spinta verso l’alto dal fondo del serbatoio fino substrato di crescita, dove sono sistemate le piante, da lì gocciola sulle piante grazie agli appositi tubi dotati di gocciolatoi.
Il liquido in eccesso ricade sul fondo, grazie agli appositi fori, pronto per essere riutilizzato nella sessione di irrigazione successiva.
Cos’è l’idro-ponica. In questo tipo di coltivazione la terra è sostituita da un substrato inerte che può essere ad esempio argilla espansa, perlite, vermiculite, lana di roccia o fibra di cocco. Un sistema di irrigazione irrora il supporto di acqua e sostanze fertilizzanti, perlopiù inorganiche, necessarie per la crescita.
Risparmio d’acqua. Le fattorie verticali idroponiche in media hanno bisogno del 70% di acqua in meno di una coltura tradizionale, l’effettivo risparmio dipende dalla tipologia di inerte scelto.
Crescita. La crescita è del 50% più veloce anche se con questo metodo si riesce ad ottenere un ottimo raccolto utilizzando l’80% di fertilizzante in meno rispetto ad i metodi che presuppongono il consumo di suolo.
Un esempio di fattoria verticale idroponica è la Vertical Harvest di Jackson Hole, che riesce a rifornire di verdure ed ortaggi a chilometri zero la località sciistica americana, producendo l’equivalente di 5 ettari di terreno in soli 400 mq.
DWC – Deep Water Culture
Un altro sistema di coltivazione idroponica molto diffuso è quello DWC – Deep Water Culture.
In questo caso le piante sono sospese in alto all’interno della serra grazie ad una apposita struttura con le radici leggermente immerse in una soluzione ben ossigenata, composta da acqua e sostanze nutritive.
Questo metodo prende il nome di Deep Water Culture per due ragioni fondamentali; il primo è legato alla profondità del serbatoio e alla quantità di acqua presente al suo interno: più acqua significa più stabilità della soluzione nutritiva, che si traduce in una minore manutenzione da parte del coltivatore. Il secondo motivo è strettamente legato al metodo di irrigazione; se nella maggior parte dei sistemi di coltivazione idriponica le radici vengono irrorate periodicamente e si trovano a contatto con l’acqua solo in alcuni momenti della giornata, nel Deep Water Culture, le radici delle piante sono costantemente immerse in una soluzione nutritiva perfettamente ossigenata.
NFT – Nutrient Film Technique
Questo sistema di coltivazione idroponica è maggiormente diffuso tra i coltivatori che optano per la coltura fuori suolo e utilizza la NFT – Nutrient Film Technique.
Apprezzato per il suo design semplice, facile da gestire e particolarmente intuitivo, questo sistema è particolarmente adatto e frequentemente usato per le piante piccole e a crescita rapida, come le varietà di lattuga, ma anche erbe aromatiche e i piccoli ortaggi.
Esistono varie versioni possibili per un sistema NFT, ma tutte accomunate dalla presenza di un flusso di acqua costante che scorre su un tappetino leggermente inclinato, rivestito da una pellicola impregnata di sostanze nutritive: l’acqua – nello scorrere – raccoglie le sostanze e le distribuisce alle radici delle piante presenti nel sistema.
Uno degli svantaggi di questo sistema è nella necessità di garantire sempre e comunque un flusso di acqua costante, che – in occasione di interruzioni improvvise di corrente – verrebbe interrotto, creando criticità e compromettendo la crescita delle piante.
Un sistema idroponico NFT è composto da un serbatoio per la soluzione nutritiva, una pompa a immersione, tubi e canaline, cubetti di lana di roccia o piccoli cestini in cui contenere le piantine e un sistema di ritorno, che serve per riportare la soluzione nutritiva dalle canaline di irrigazione al serbatoio.
Floating System
Il floating system (dal termine inglese to float, galleggiare) è una tecnica di coltivazione idroponica innovativa per ortaggi ‘arricchiti’.
Si tratta di un innovativo metodo di coltivazione che permette di migliorare il valore nutrizionale del prodotto, un sistema di produzione in mezzo liquido statico in cui le piante sono allevate in pannelli di polistirolo provvisti di fessure che vengono riempiti con modesti quantitativi di substrato inerte(vermiculite, perlite etc.) o in contenitori alveolati (numero e dimensione degli alveoli variano a seconda della specie coltivata), galleggianti in vasche impermeabilizzate di 30-40 cm di profondità, riempite con soluzione nutritiva.
L’impiego del floating system, inizialmente messo a punto per la produzione del tabacco, si è sviluppato rapidamente al livello mondiale su altre specie ortive da taglio (lattughino, spinacio, cicoria, valerianella), da cespo (lattughe, scarola, radicchio), da radice (ravanello) ed aromatiche (basilico, rucola, erba cipollina, prezzemolo, menta, salvia, aneto, borragine).
Questo sistema di coltivazione senza suolo si è dimostrato particolarmente indicato per la coltivazione di ortaggi per la IV gamma, perché è economico (per costi di realizzazione e di gestione assai contenuti), è capace di assicurare livelli produttivi elevati e consente di ottenere un prodotto caratterizzato da buone caratteristiche qualitative, pulito e privo di residui di terreno.
Questa tecnica è stata valorizzata anche dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), che l’ha portata all’attenzione internazionale mediante l’esposizione di piccole unità di coltivazione, di livello domestico, al World Food Summit del 2002 a Roma. L’idea consiste nella promozione, nell’ambito del progetto Food for the Cities, della coltivazione di ortaggi in piccole unità sufficienti a conseguire l’obiettivo di garantire la disponibilità quotidiana di ortaggi freschi, sani e ad alto valore nutrizionale per il consumo familiare e per offrire una minima fonte di reddito proveniente dalla vendita nel vicinato.
Nella coltivazione in floating system, oltre ai parametri di produzione, accrescimento e qualità, è stata valutata anche la possibilità di migliorare il valore nutrizionale mediante tecniche di arricchimento del prodotto con sostanze nutritive “amiche della salute” (ferro, selenio, acidi grassi). Questo rappresenta un aspetto di qualità degli ortaggi da foglia destinati alla IV gamma ancora poco esplorato.
Aeroponica
Aeroponica è la crescita di una piante senza terra o acqua. A differenza della coltivazione idroponica, non c’è un gocciolio o inondazione di soluzione nutritiva sulla pianta o substrato. Il principio base che utilizza la coltura aeroponica per il giardinaggio indoor è la coltivazione di piante in luoghi chiusi, spruzzando e nebulizzando sulle radici una soluzione ricca di fertilizzanti per aeroponica. Ciò consente di coltivare senza preoccuparsi di malattie o parassiti presenti nelle coltivazioni in terra all’aperto.
La coltivazione aeroponica è favorita da molti coltivatori rispetto alla coltivazione idroponica perché l’aerazione supplementare della soluzione dovuta alla nebulizzazione tende ad ossigenare maggiormente la pianta. Crescono più velocemente, e meno agenti patogeni si possono formare, consentendo alle piante di crescere più sane.
Aeroponica è un tipo di agricoltura che rimuove molti degli svantaggi della coltivazione outdoor e coltivazione idroponica. L’uso dell’aeroponica è adatto alla maggior parte di piante, fiori, e fornisce un ambiente controllato. Il metodo è utilizzato dai coltivatori che hanno bisogno di uno stretto controllo sui propri impianti, e da persone che vogliono eliminare la necessità di usare pesticidi. Aeroponica consente inoltre la coltivazione naturale biologica e senza malattie.
Aeroponica è un metodo utile di crescita che ha portato a molti progressi nella scienza. Richiede molta precisione e la messa a punto corretta può essere molto costosa. Il risultato finale può essere molto vantaggioso, visto che questo metodo di giardinaggio permette una maggiore densità di piante e una resa maggiore in un tempo minore. Ci sono un certo numero di diversi tipi di sistemi, tra cui bassa pressione, alta pressione, e di tipo commerciale, permettendo ai coltivatori di scegliere quelle che è giusto per loro.
Questo tipo di fattorie verticali fanno a meno di un substrato in cui le piante crescono e le lasciano libere per spruzzare direttamente sulle radici vapore acqueo e sostanze nutritive. Una pompa veicola l’acqua ed il fertilizzante necessario alla crescita per tutto il sistema che interessa le radici delle piante coltivate.
Mentre nella coltura tradizionale buona parte dell’acqua si spreca perché evapora e viene restituita all’atmosfera in questo modo se ne utilizza il 90% in meno in quanto quasi tutto il vapore viene assorbito dalle radici.
La crescita degli orti urbani aeroponici avviene in tempi dimezzati rispetto alle coltivazioni a terra e con una resa del 30% maggiore.
A Newark è in costruzione la fattoria aeroponica più grande del mondo, con 6400 mq di spazi coltivati completamente senza suolo. Il sistema sviluppato da AeroFarms è alimentato da pannelli fotovoltaici e riuscirà a produrre 900.000 kg di ortaggi ogni anno.
Acquaponica
Questo tipo di coltivazione abbina la crescita di specie vegetali all’allevamento ittico. I liquidi di scarto delle vasche vengono utilizzati per irrigare le colture che crescono velocemente grazie alle sostanze fertilizzanti presenti nelle acque di scarico che altrimenti andrebbero versate nei corsi d’acqua. Le piante si nutrono delle sostanze nocive e restituiscono acqua pulita alla vasca, diminuendo notevolmente il numero di ricambi completi necessari per la salute dei pesci.
Con questo metodo di coltivazione si utilizza il 90% d’acqua in meno e le piante crescono direttamente sopra le vasche affondando le radici nel filtro che pulisce l’acqua per i pesci.
La crescita avviene in tempi dal 30 al 50% inferiori rispetto ad una coltura tradizionale grazie alla costante fertilizzazione delle radici data dal flusso di acqua di scarico. Uno dei punti di forza di questo tipo di coltivazione è
che riusa le acque, le ricicla e minimizza gli sprechi permettendo notevoli risparmi economici.
La Hyundai Fuel Cell Farm è alimentata da una vettura IX35 FCEV ad idrogeno della quale sfrutta il vapore acqueo di scarico e le sostanze minerali presenti negli escrementi dei pesci per far crescere un piccolo ecosistema 100% ecofriendly.
Le coltivazioni fuori suolo su larga scala
Le coltivazioni fuori suolo, in relazione alla tecnologia che utilizzano, si possono inoltre suddividere in High Tech, Medium Tech e Low Tech. Le prime vengono attuate in serre di ultima generazione, con sistemi altamente automatizzati ed efficienti per la gestione del clima nelle serre e della soluzione nutritiva, le ultime sono molto semplici, utilizzano spesso materiale di riciclo e di costo molto basso e trovano applicazione in contesti poveri, come le periferie delle città dei paesi in via di sviluppo.
Attualmente in Olanda la gran parte della coltivazione in serra è attuata con sistemi fuori suolo. I ben noti pomodori, peperoni e cetrioli olandesi sono coltivati con sistemi fuori suolo High Tech.
Basti pensare alle aziende olandesi Dry Hydroponics, Royal Pride o Rainbow International.
La normativa sulla coltivazione idroponica
I vantaggi della coltivazione idroponica sono sicuramente più convincenti degli svantaggi. Ma non essendoci ancora un regolamento, i dubbi sono molti.
Sorgono spontanee domande del tipo: chi ci garantisce il fatto che con la coltivazione fuori suolo vengano poi effettivamente usati meno fitofarmaci?
Per adesso non è previsto nessun certificato bio.
Il Regolamento CE 834/2007 che detta la cornice giuridica per l’agricoltura biologica, considera il suolo un fattore essenziale: “La produzione biologica vegetale dovrebbe contribuire a mantenere e a potenziare la fertilità del suolo nonché a prevenirne l’erosione. Le piante dovrebbero essere nutrite preferibilmente attraverso l’ecosistema del suolo anziché mediante l’apporto di fertilizzanti solubili”. Ancora più esplicito il Regolamento CE 889/2008: “La produzione biologica vegetale si basa sul principio che le piante debbano essere essenzialmente nutrite attraverso l’ecosistema del suolo. Per questo motivo non deve essere autorizzata la coltivazione idroponica, che consiste nel far crescere i vegetali su un substrato inerte nutrendoli con l’apporto di minerali solubili ed elementi nutritivi”.
In ogni caso se ben gestite, le produzioni fuori suolo possono essere considerate pesticidi-free.
Attualmente sono disponibili in commercio dei fertilizzanti biologici che danno la possibilità, utilizzando un impianto idroponico, di ottenere un prodotto biologico (ma non certificato in base al Regolamento (CE) N. 834/2007).
La coltivazione idriponica inquina di meno rispetto ad una tradizionale?
Altro dubbio riguarda le emissioni di CO2 e di gas serra.
Bisogna considerare l’elevato uso di energia per produrre, costruire, gestire le serre, soprattutto le High Tech, considerando i motori, le attrezzature, i materiali metallici per le strutture portanti delle serre, le coperture in plastica rigida o vetro, i sistemi di distribuzione della soluzione nutritiva, la plastica per i contenitori.
Se si fa riferimento alla superficie coltivata (come per esempio le emissioni di CO2 per ettaro o per metro quadrato) è chiaro che si ha un maggior rischio ambientale nel caso delle serre idroponiche High Tech. Se si fa riferimento alla produzione ottenuta (come per esempio le emissioni diCO2 per tonnellata o kilogrammo di prodotto), invece, il discorso cambia di molto perché le quantità di prodotto ottenute fuori suolo sono molto, molto maggiori rispetto alle coltivazioni tradizionali e alle biologiche.
La coltivazione idroponica condiziona il sapore di frutta e verdura?
In generale il sapore delle verdure e dei frutti, come quello degli altri alimenti, dipende dal gusto (equilibrio tra dolcezza, asprezza o acidità e dal grado di astringenza) e dall’aroma (composti volatili percepiti con l’olfatto).
I composti volatili responsabili dell’aroma sono generalmente composti a basso peso molecolare (esteri, alcoli, aldeidi, chetoni). Per quanto riguarda il gusto, la dolcezza, per esempio, è determinata dalle concentrazioni degli zuccheri predominanti (fruttosio, glucosio e saccarosio) e dal loro rapporto. L’asprezza o l’acidità sono determinate dalle concentrazioni degli acidi organici predominanti (citrico, malico e tartarico) e dal loro rapporto; alcuni aminoacidi possono anche contribuire all’acidità. Minerali come calcio, fosforo e potassio si possono combinare con gli acidi organici e influenzare la percezione dell’acidità. Le sostanze fenoliche contribuiscono anch’esse all’acidità, oltre che alla sensazione di astringenza. Il sapore delle verdure o dei frutti deriva da tutti questi composti e dal rapporto che c’è tra di loro che a sua volta proviene in sostanza dalla genetica della pianta, dalle condizioni climatiche in cui si trova (temperatura, luce, umidità) e da tutta una serie di altri fattori, come l’irrigazione o la concimazione, che se vengono modulati bene possono dare origine a un prodotto di qualità elevata.
Non è dunque l’agricoltura idroponica che genera prodotti di bassa qualità o che non sanno di nulla, ma da come si fa questa coltura e dal tipo di prodotto che si vuole ottenere.
Infatti con questa coltivazione si possono modulare, per esempio, anche gli stress della pianta: aumentando la salinità della soluzione nutritiva, si porta in stress la pianta che per reazione produce una serie di sostanze antiossidanti, come vitamine o certi pigmenti, che restituiscono un prodotto di qualità.
Un esempio sono i pomodorini di Pachino coltivati in una zona assolata e caratterizzata da terreni fortemente salini. Questi pomodori sono il frutto di piante in forte stress salino e luminoso, ecco perché sono così piccoli e saporiti.
Conclusioni
È vero che i pomodori olandesi non sanno di nulla però sono tutti belli e tutti uguali: è quello che richiede il mercato. Ecco perché gli olandesi, che sono molto attenti alla produzione di ortaggi industriale, non si curano troppo del sapore. La loro è principalmente una selezione estetica. Tra l’altro il pomodoro ai nord europei piace acidulo.
Non è certo l’idroponica il problema. In sostanza si può dire che il risultato, in termini di sapore, non dipende dalla tecnica utilizzata.
In Olanda il 90% delle colture orticole sotto serra vengono gestite con sistemi “senza suolo”, mentre tale superficie in
Italia è molto ridotta. Nel nord Italia si riscontrano pochi impianti notevolmente specializzati, mentre la gran parte della coltivazione di prodotti orticoli, anche destinati alla cosiddetta “quarta gamma“, viene condotta direttamente su terreno. Tuttavia negli ultimi anni sono nate esperienze aziendali innovative che hanno adattato i sistemi idroponici riducendone i costi d’impianto, ad esempio attraverso la coltivazione con il cosiddetto “floating system”.
In termini qualitativi il prodotto mostra uniformità di dimensione e caratteristiche oltre che qualità organolettiche costanti in tutta la produzione, qualità richieste dalla distribuzione organizzata ai produttori di frutta e ortaggi.
Nella futuristica serra di Port Augusta, 180.000 piante di pomodori sono coltivate senza bisogno di terra o acqua di falda. Basta l’energia catturata da 23.000 specchi e il mare.
Nessun pesticida, combustibile fossile o prelievo da fonti idriche potabili. Solamente acqua di mare, bucce di cocco e il sole cocente del deserto australiano. Per produrre 17.000 tonnellate di pomodori bio; a Sundrop Farm non serve altro.
La futuristica fattoria idroponica solare, spuntata nella regione arida di Port Augusta, si accontenta davvero di poco, pur mantenendo alte le promesse. Un team internazionale di scienziati ha trascorso gli ultimi sei anni a mettere a punto il progetto, nato sulla scia di impianti simili pensati in Oman, Qatar e negli Emirati Arabi. Sei anni di lavoro che sono culminati, proprio in questi giorni, con l’inaugurazione della versione commerciale della struttura, primo sistema agricolo del suo genere mai realizzato in tutto il mondo.
Vetrina di buone pratiche ed innovazione tecnologica verde, la fattoria è costituita da una serra, un impianto di dissalazione ed un campo di solare a concentrazione. All’interno della serra, rigorosamente idroponica, stanno crescendo 180.000 piante di pomodoro. L’acqua necessaria per coltivarle arriva direttamente dal mare, e al posto della terra sono impiegate le bucce fibrose del cocco. La centrale solare, con i suoi 23.000 eliostati che concentrano la luce ad una torre alta 115 metri, sviluppa una potenza di picco di 39 MW. Quanto basta per alimentare l’impianto di dissalazione a osmosi inversa, producendo 1 milione di litri di acqua dolce al giorno, e soddisfare le esigenze elettriche della serra. Un ciclo perfetto, in altre parole, che ha fatto dell’autosufficienza e della sostenibilità le sue migliori prerogative.
Nonostante la versione su scala commerciale sia stata inaugurata da poco, i primi pomodori prodotti dalla serra hanno già iniziato ad essere venduti nei supermercati australiani. L’idea, così come i risultati sembrano non lasciare spazio alle critiche, peccato che per ora il costo di realizzazione della fattoria idroponica solare sia decisamente alto: ben 200 milioni di dollari.
Casi esempio:
Vertical Harvest di Jackson Hole
Credit
Rinnovabili.it
Agricoltura.it